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Data: 05/03/2014
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Quel filo ormai troppo sottile. Si logora il patto sulle riforme di Antonio Polito

Il filo da acrobata su cui Renzi cammina ha resistito alla prima prova della legge elettorale, ma si è fatto molto più sottile. Ora che è al governo, il premier ha dovuto scegliere tra le due maggioranze, e ha ovviamente preferito quella di governo. Più ancora che Alfano, a imporlo è stato il Pd. Dal Pd non renziano, tuttora in maggioranza a Montecitorio, viene l’emendamento vincente che limiterà la riforma elettorale alla Camera, e da quel Pd Renzi rischiava, in caso contrario, una sonora bocciatura in Aula. Berlusconi, il contraente dell’altro patto, ha dovuto accettare, seppure con «grave disappunto». Per un po’ di tempo il Cavaliere non potrà fare molto altro. Da oggi le due maggioranze di cui disponeva Renzi si sono ridotte a una e mezza: quella con Alfano, che si allarga a Berlusconi sulle riforme. D’altra parte, l’ultima volta che una doppia maggioranza ha funzionato risale ai tempi di De Gasperi a Palazzo Chigi e Terracini alla Costituente. Altri uomini.

Il compromesso trovato ieri ha una sua logica. «Avremmo fatto ridere il mondo con una riforma elettorale inapplicabile per il Senato», ha detto ieri il senatore Quagliariello, e ha ragione. Però la soluzione escogitata non suscita minore ilarità: una riforma applicabile solo alla Camera. Il che vuol dire che se per caso o per scelta il Parlamento non eliminerà del tutto il Senato elettivo, alle prossime votazioni avremo un sistema che dà certamente una maggioranza a Montecitorio e altrettanto certamente non la dà a Palazzo Madama. Provate a spiegarlo a un marziano, o anche a un tedesco. Se si aggiungono le tre soglie diverse, un premio di soli sei seggi e la deroga alla Lega, si apprezza fino in fondo l’«esprit florentin» della riforma che sta nascendo.

Come tutte le soluzioni a metà anche quella trovata ieri contiene una buona opportunità ma anche un immenso rischio. Garantisce al Parlamento il tempo necessario, gliene servirà più di un anno, per cambiare la Costituzione. Ma il fallimento, o la dilazione alle calende greche, stavolta ci precipiterebbe in una situazione perfino peggiore di un pessimo passato.

Sospettare che qualcuno dei giocatori stia barando sotto il tavolo è del resto legittimo. Suona infatti strano che, mentre tutti la danno per scontata, non sia stata in realtà neanche presentata da Renzi una bozza di riforma del Senato. Eppure aveva indicato un cronoprogramma che ne prevedeva entro l’estate l’approvazione in prima lettura, e proprio al Senato.

È quello il vero ostacolo della corsa. E non è un caso se la proposta di legge non c’è ancora. Il fatto è che il progetto iniziale di Renzi non convince: in molti, pare di capire anche nella Consulta, hanno seri dubbi a trasformare la Camera Alta in una sorta di Cnel di sindaci piuttosto che in un Bundesrat alla tedesca. È giunto dunque il momento di scegliere. Ieri il premier ha salvato la velocità della macchina che ha messo in moto, ora deve indicare il traguardo.

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