ROMA La parola d’ordine è: fare presto. Cercare di rispettare il cronoprogramma annunciato. Durante la cena con i ministri dell’Economia e del Lavoro, Per Carlo Padoan e Giuliano Poletti, e con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio, il premier l’altra sera lo ha ribadito: entro metà marzo il piano per il lavoro deve essere pronto nelle sue linee generali. Ma i nodi da sciogliere sono tanti e complessi. E per quanto i due ministri interessati abbiano già iniziato a studiare i dossier con grande attenzione, la soluzione non sembra possibile nei tempi brevi desiderati da Renzi. Anche perché a monte del Jobs Act c’è un’altra urgenza: trovare i soldi per rifinanziare la cassa in deroga. Serve subito almeno mezzo miliardo. I 400 milioni sbloccati a inizio febbraio non bastano nemmeno a coprire il residuo 2013 (le Regioni hanno portato un conto di oltre un miliardo di euro) e poi sono stati presi dallo stanziamento per il 2014. Per cui si è coperto (parzialmente) da una parte ma si è scoperto dall’altra. Non è un caso che dal giorno del giuramento del nuovo governo i sindacati stiano chiedendo un incontro per affrontare l’argomento.
Ma il conto dei soldi da trovare subito non finisce qui: se è vero - come è vero - che l’unica carta che questo governo ha già in mano è la ”Garanzia giovani“ (il programma che mobilita 1,5 miliardi cofinanziato dalla Ue e lasciato in eredità dal governo Letta) per l’avvio effettivo si dovrà comunque trovare un altro mezzo miliardo di competenza nazionale. In totale quindi stiamo parlando di un miliardo che il ministro Padoan deve mettere sul piatto immediatamente, al di là e prima dei 10 miliardi promessi per il taglio del cuneo fiscale, al di là e prima delle risorse (ingenti) che servono per l’introduzione del sussidio universale per chi perde il posto di lavoro.
LOTTA CONTRO IL TEMPO
Ieri Giuliano Poletti, ricevendo la Cgil e poi l’Abi, ha iniziato un primo giro di consultazioni informali con le parti sociali. «È stato un puro giro d’orizzonte. Ancora non sono riuscita a capire cosa c’è nel Jobs act» ha riferito, dopo un’ora di incontro, Susanna Camusso. «L’unica cosa netta è il proseguire rapidamente sulla Garanzia Giovani». Oggi varcherà il portone del ministero la delegazione Cisl, domani toccherà - separatamente - a Uil e Ugl. Poi Poletti proseguirà gli incontri con i rappresentanti delle imprese. Ma difficilmente fornirà maggiori dettagli. Se da via XX Settembre non sciolgono il dilemma sulle risorse, qualunque proposta rischia di essere velleitaria. Iniziare dalle regole che non costano? Qui gli scogli sono politici: l’ipotesi del contratto unico a tutele crescenti, con l’abolizione di fatto dell’articolo 18 per tre anni, non piace ai sindacati (Cgil in testa); contro lo sfoltimento del numero dei contratti con l’eliminazione di alcune tipologie molto usate attualmente dagli imprenditori, c’è il no dell’alleato Ncd.
DECRETO FERMO
Intanto c’è da decidere cosa fare dello schema di decreto ministeriale in materia di ammortizzatori sociali in deroga, messo a punto dal governo Letta. Il provvedimento, che introduce criteri più restrittivi per la cig in deroga, per ora ha ricevuto una sfilza di pareri negativi: Conferenza Stato Regioni, sindacati e una parte delle associazioni di imprese. I punti più contestati riguardano la platea dei beneficiari: sono esclusi apprendisti, lavoratori a domicilio, soci di cooperative, contratti di somministrazione o ex interinali; si richiedono almeno 12 mesi di anzianità professionale (al posto degli attuali 90 giorni). Non piace nemmeno la riduzione delle tipologie di imprese che possono accedere alla domanda (sono fuori le Onlus e gli studi professionali), così come il taglio delle causali per accedere al sussidio (il decreto esclude le riconversioni aziendali, le procedure concorsuali e le cessazioni). In ogni caso si tratta di un provvedimento che mal si sposa con l’ipotesi di sussidio universale. La decisione di portarlo avanti o ritirarlo, sarà quindi indicativa delle reale intenzioni del governo Renzi.