La linea C della metropolitana non trova pace. Una parte del pre-esercizio della tratta completata, quella fra Pantano e Centocelle, è infatti ferma per mancanza di risorse. All’appello mancherebbero 35 milioni di euro in più (la cifra è approssimativa) che il Consorzio Metro C (formato dalle aziende Vianini, Astaldi, Ansaldo, Ccc e Cmb) ha chiesto a Roma Metropolitane e, per riflesso, al Campidoglio. Il denaro servirebbe per pagare servizi di «assistenza tecnica» alle prove generali di funzionamento della linea, in carico ad Atac. Così il Consorzio, dopo numerosi avvertimenti scritti, il 27 febbraio ha inviato una lettera al Comune e alle due municipalizzate comunicando, in sintesi, che non avrebbe continuato le attività di assistenza e, anzi, declinando «ogni responsabilità per i guasti che interverranno sugli impianti ed apparati della linea». Parliamo di servizi accessori, ma fondamentali, come formazione del personale, tirocini, manutenzione degli impianti e dei treni, vigilanza delle stazioni, pulizia e custodia delle opere. Per una linea che non prevede la presenza di conducenti a bordo dei convogli, e quindi ancora più delicata. Risultato: il pre-esercizio è praticamente fermo.
Ma Metro C non aveva già consegnato la tratta il 15 dicembre? Perché continua a pretendere soldi? Semplice: in quella data Atac fece specificare nero su bianco che non sarebbe stata in grado di sopperire a questo tipo di lavoro accessorio. Così, «per spirito di responsabilità e correttezza», il Consorzio ha continuato a svolgere i servizi, prima fino al 20 gennaio e poi fino al 17 febbraio, in realtà senza che la variante al contratto fosse mai stata realmente approvata da Roma Metropolitane (e prima ancora dal Comune). Ora, però, Metro C ha presentato il conto, lasciando le municipalizzate e il Campidoglio in pessime acque. Non solo. Nella missiva, il contraente generale prospetta al settore pubblico anche conseguenze e costi ancora più gravi: «L’assenza di manutenzione – scrive l’ad Fabio Giannelli – produrrà la necessità per gli impianti e le opere di ripristinarne la funzionalità compromessa da tale omissione, i cui effetti oggi non sono compiutamente valutabili in termini di maggiori costi e tempi di intervento», quindi, «la scrivente declina sin d’ora ogni responsabilità per tutti gli effetti deleteri derivanti dall’improvvida inerzia più volte contestata». E adesso? Fonti non ufficiali interne ad Atac tendono a minimizzare, seppur non nascondendo preoccupazione: «Si tratta di contenziosi burocratici che possono verificarsi – commenta un dirigente – ma certo, bisogna risolverli in fretta, altrimenti rischiamo di andare alle calende greche». Quindi gli impianti ad oggi sono incustoditi? «Ci stiamo arrangiando», è la laconica risposta. In tutto ciò, la vicenda adesso sbarca anche alla Corte dei conti. La lettera di Metro C non è piaciuta al Collegio Sindacale di Roma Metropolitane (i revisori dei conti, in pratica), che ha scritto al magistrato contabile, Massimo Perin: «Il fatto appare gravissimo, per il danno che viene a generarsi per la collettività. Così appare certa l’impossibilità di apertura al pubblico dell’esercizio che l’assessore alla Mobilità, Guido Improta, aveva data per certa». Il presidente del Collegio, Giovanni Di Caterino, ne ha anche per Improta e per il famoso atto attuativo del settembre scorso, che sarebbe dovuto essere «tombale», ma che «proprio oggi si vanifica nel merito».