ROMA Nel giorno della festa della Donna, 90 deputate di tutti i gruppi rivolgono un appello-mediazione sulla legge elettorale ma resta il no di Berlusconi, mentre Renzi è deciso a chiedere un voto esplicito dei dem sull’argomento quote rosa.
Fedele al motto «accelerare, accelerare», il premier fa sapere di aver pronta la riforma-abolizione del Senato. Verrà presentata non appena ci sarà il disco verde sulla nuova legge elettorale, il cui voto finale è previsto per lunedì alla Camera. Renzi tempo fa ha anticipato pubblicamente la sua idea di Senato, un luogo dove far convergere i sindaci e alcuni rappresentanti locali per farne una Camera delle autonomie, senza poteri legislativi, senza possibilità di dare la fiducia ai governi, e soprattutto non elettiva, a costo zero. E’ pure circolata l’ipotesi che l’ex Senato possa spostarsi da palazzo Madama, dal momento che per le sue nuove e più ridotte funzioni non sarebbe più richiesta la mole di apparato attuale.
RISCHIO AGGUATI
Ma su palazzo Madama si addensano già parecchie nubi. C’è da sempre l’ostilità, trasversale e interpartitica, dei senatori all’autoabolizione. E c’è anche, in aggiunta, l’avvertimento che i medesimi senatori non intendono fare scena muta rispetto alla nuova legge elettorale, vogliono metterci mano e cambiarne finanche l’impostazione. La leadership di questo movimento ”anti” l’ha assunta al momento Anna Finocchiaro, dirigente storica del Pd, presidente della prima commissione che dovrà istruire la pratica, nonché antipatizzante fin dal primo momento di Renzi e del renzismo. A un convegno dell’istituto Luigi Sturzo dedicato proprio alle riforme del momento, la presidente della commissione ha proposto un Senato «con legittimazione elettorale di tipo proporzionale», laddove l’ipotesi renziana non prevede alcuna base elettiva con i costi relativi. Quanto alla legge elettorale, la Finocchiaro vorrebbe alzare al 40 per cento la soglia per far scattare il premio, mentre vorrebbe abbassare la soglia dell’8 per cento per chi si presenta da solo. Apriti cielo. Non aveva neanche finito di parlare, che da Forza Italia è partita la contraerea: «Parole sconcertanti, così si viene meno ai patti», ha tuonato Francesco Paolo Sisto pari grado della Finocchiaro alla Camera e forzista. «Sono stupefatto dello stupore di Sisto», replica subito Vannino Chiti collega dem della Finocchiaro, e così altri senatori come Renato Schifani che al grido «non intendiamo fare i notai», annunciano battaglia a palazzo Madama per modificare l’Italicum. «I senatori avranno i riflettori dell’opinione pubblica puntati, non hanno capito che le battaglie di retroguardia sono perdenti, diventano un boomerang», ringhiavano dalle parti di Renzi. E i renziani ricordano che esiste fin dal primo momento un patto con Berlusconi per modificare le regole, come ha anche rivelato il professor Roberto D’Alimonte sempre al convegno dello ”Sturzo”: «Renzi e Berlusconi erano d’accordo sul sistema spagnolo con effetti assai più maggioritari dell’Italicum, ma poi Napolitano si fece carico delle proteste dei partiti piccoli e medi e si adoperò per sconsigliarlo».
IL DOCUMENTO
Il medesimo patto avrà la sua prova del fuoco lunedì, quando riprenderanno le votazioni alla Camera per concludersi in giornata. Rimane aperta la questione di genere: 90 deputate di un po’ tutti i gruppi propongono in una lettera la mediazione di 60 e 40 posti di capilista, le forziste sono impegnate quanto le altre, ma al momento il Cavaliere non intende deflettere. Renzi non vuole mandare avanti la ministra Maria Elena Boschi ad annunciare il parere negativo del governo, vuole piuttosto che sia il capogruppo Roberto Speranza a condurre la partita tra i deputati del Pd, a spendersi e adoperarsi per farli pronunciare. «Nel frattempo, si lavora a possibili mediazioni», chiosa Lorenzo Guerini.