ROMA - L'aveva anticipato qualche settimana fa il Corriere , giusto nei termini in cui lo spiega lui oggi. E nulla gli ha fatto cambiare idea. Né la rincorsa di appelli a restare di chi lo ha indicato come il solo possibile «strumento di coesione» in un Paese diviso. Né gli inviti a succedere a se stesso in veste di «unico vero tutore» del dialogo democratico per le opposte famiglie politiche, nell'irrisolta transizione italiana. Né, è ovvio, i più o meno limpidi e più o meno strumentali tatticismi per spiazzare gli avversari, tentando di reclutarlo dalla propria parte contro l'altra.
QUESTIONI DI PRINCIPIO - Carlo Azeglio Ciampi rinuncia definitivamente e «pubblicamente» alla ricandidatura sollecitata da destra e sinistra, per alcune serie e ponderate questioni di principio. Una «non disponibilità a un rinnovo del mandato», che stavolta mette nero su bianco, «per un'esigenza di doverosa chiarezza».
C'è anzitutto l'anagrafe, «l'età avanzata», a fargli temere di «non poter contare sulle energie necessarie all'adempimento, per il lungo arco di tempo previsto, di tutte le gravose funzioni di un capo dello Stato». (Un'obiezione che quanti lo seguono proiettano per forza nel futuro prossimo più che sul presente, rimarcando la forma fisica dimostrata finora e i bioritmi alle stelle esibiti negli ultimi mesi).
«CONSUETUDINE SIGNIFICATIVA» - C'è poi - aggiunge - «una considerazione di carattere oggettivo», maturata durante la sua esperienza sul Colle: «Mai un presidente in Italia è stato rieletto» e questa gli sembra «una consuetudine significativa», che «è bene non infrangere». Vale a dire che «il rinnovo di un mandato lungo, come è un settennato, mal si confà alle caratteristiche della forma repubblicana del nostro Stato». Un bis al Quirinale, suo o di chiunque altro, rischierebbe dunque di consolidare un eccessivo personalismo ai vertici delle istituzioni, configurandosi quasi come un'impropria monarchia. Meglio evitarlo.
«CIVILE CONFRONTO» - C'è infine, e da salvare invece, «la convergenza» con cui «parti politiche diverse si sono espresse» sul suo nome. Il capo dello Stato la interpreta alla stregua di una «disponibilità a quel civile confronto che (al di là delle naturali asprezze della dialettica politica, acuite dal recente momento elettorale) è premessa e condizione, indispensabili, della saldezza delle istituzioni e, quindi, della salute della Repubblica». È il metodo con il quale si augura che le Camere scelgano il prossimo presidente. Concentrandosi su un uomo capace di smorzare le spinte più radicali e destabilizzanti, di unire e non dividere.
L'IDENTIKIT - Ognuno potrà tracciarne l'identikit ideale e magari confrontarlo con il carattere dei candidati in lizza. Ma a questo profilo, secondo Ciampi, bisognerebbe che il Parlamento si ispirasse, e tiene a spiegarlo nella nota che a tarda sera formalizza il gran rifiuto e che spazza via settimane di trattative, manovre, illazioni, convulsioni, equivoci, depistaggi. Una scelta coerente con il suo ripetuto richiamo alla «dignità», che viene fatta risalire ad alcuni mesi or sono e che sarebbe stata intuibile tra le righe del suo «messaggio di commiato di fine anno».
«ORA VEDIAMO» - Certo, molti erano convinti che la riluttanza del presidente si sarebbe dissolta di fronte al pressing della politica e al fragile equilibrio scaturito dalle urne. Tanto che anche ieri, durante la mezza giornata trascorsa nella sua città, Ciampi è incalzato da una folla affettuosamente insistente. «Ora vediamo», risponde di prima mattina ai concittadini che lo attendono sotto casa e gli urlano «tieni duro, resta al Quirinale». «Siamo a Livorno, parliamo di Livorno», replica ai cronisti che lo pedinano a ogni passo. Un preludio dell' outing serale da Roma se lo concede alle 11.30 in prefettura, quando parla con orgoglio del proprio imprinting di livornese e rivendica «schiettezza e spirito franco».
CENTRALINI INTASATI - Insomma: non può lasciare che il suo nome corra come quello di un qualsiasi altro candidato, che entri ed esca da logoranti «rose» di papabili, che qualcuno si permetta di usarlo nel mercato del voto. E non può consentire che il proprio silenzio sia interpretato come un assenso. Se non ha parlato prima - dicono i consiglieri - è perché ha atteso di non avere più adempimenti istituzionali da compiere, un traguardo segnato dalla convocazione delle assemblee per l'8 maggio. Per cui, dopo un veloce viaggio di ritorno al Quirinale, a metà pomeriggio convoca lo staff, rilegge il comunicato pronto da tempo, ci aggiunge «profondi ringraziamenti per le molteplici dichiarazioni» in favore della sua rielezione e i giudizi positivi sul suo operato «quale garante dell'unità nazionale e custode dell'ordine costituzionale» e fa diffondere il testo. Pochi minuti e il centralino del Palazzo è intasato di telefonate, mentre centinaia di email si rincorrono sul sito Internet della presidenza.
Chiamano in tanti, e un po' lo commuovono. Amici e sconosciuti. Gente comune e politici. Ma, per il momento, non Prodi né Berlusconi, già impegnati in una partita che d'ora in avanti si giocherà su altri personaggi.