Sul caso giudiziario del presunto voto di scambio per il quale il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, è stato iscritto nel registro degli indagati, il giudice per le indagini preliminari, Marco Billi, ha messo la parola fine, scagionando il primo cittadino ma anche l’onorevole Daniele Toto (Fli) e Silvio Paolucci (Pd). Il pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Stefano Gallo, dopo aver «scandagliato» sull’accordo preelettorale, in vista del ballottaggio per le comunali di due anni fa, che videro poi la conferma di Massimo Cialente, tra i coordinatori regionali di Futuro e Libertà e del Partito democratico e il primo cittadino, aveva deciso di archiviare il procedimento penale. Secondo una denuncia, in cambio dell’appoggio del partito di Fini, che al primo turno totalizzò un modesto, ma utile per un eventuale apparentamento –3,70%, Cialente avrebbe promesso alcune poltrone importanti (un assessorato e la presidenza di un’azienda municipalizzata). Sentito nell’immediatezza dei fatti, Cialente aveva sostenuto: «Mi si accusa di voto di scambio, ma dove starebbe l’irregolarità? Chiaramente negli apparentamenti uno dice “se entri, fai l’assessore”. È normale, funziona così ovunque». L’apparentamento saltò, «nonostante – aveva detto sempre Cialente - ci fosse stato un precedente accordo politico, perché la mia maggioranza non volle saperne». Il gip del Tribunale dell’Aquila, che ha accolto la tesi difensiva del primo cittadino, assistito dall’avvocato Carlo Benedetti, ha «ritenuto che all’esame degli atti non sono emersi concreti elementi indiziari in ordine ad alcuna condotta di rilievo penale, non rientrando i protagonisti della vicenda nelle categorie normativamente previste (elettori o persone da questi indicate)». Di qui i motivi dell’archiviazione per il reato di abuso d’ufficio.