CHIETI «Non so nulla della discarica di Bussi e né, da abruzzese e da residente a Bussi in quegli anni, avrei potuto accettare un’idea simile», dice in aula l’imputato Luigi Guarracino, direttore fino al 2002 dello stabilimento Montedison, seduto al banco di un’aula a porte chiuse in cui, poco prima, gli avvocati della Montedison avevano gridato al circolo «mediatico-giudiziario» e cercato, inutilmente, di far escludere dalle parti civili l’altro colosso, la Solvay. «Abitavo a Bussi, non avrei accettato la discarica». Il processo sulla discarica è ripreso con le dichiarazioni dell’ultimo direttore, in ordine di tempo, della Montedison nel processo che ha messo sotto accusa quarant’anni di amministratori e vertici dello stabilimento. «Amo la mia terra, l’Abruzzo», ha detto in aula Guarracino, il direttore dello stabilimento dal 1997 al 2002. «Ho vissuto per anni a Bussi con la mia famiglia e i miei figli», avrebbe aggiunto il direttore di fronte alla giuria popolare e al collegio presieduto da Geremia Spiniello per rigettare l’accusa che lo accomuna agli altri 18 imputati: disastro doloso e avvelenamento delle acque. Guarracino, originario di Silvi, 58 anni, è arrivato nell’aula di Chieti insieme a un altro paio di imputati tra cui Nazzareno Santini, 80 anni, direttore dello stabilimento dal 1963 fino al 1975, e Maurizio Piazzardi, perito chimico, 43 anni, che ha rilasciato una dichiarazione analoga a quella di Guarracino: «La discarica? Non sapevo che esistesse». Pm: porte aperte al processo. Montedison: porte chiuse. L’udienza, però, è iniziata in un clima teso perché quando il pm Giuseppe Bellelli, che condivide l’accusa con Anna Rita Mantini, si è alzato dicendo di lasciare aperte le porte dell’aula, l’avvocato del foro di Milano Nadia Alecci si è opposta richiamando il «circolo mediatico-giudiziario», il clamore di questi giorni dopo la pubblicazione della relazione dell’Istituto superiore della sanità, e invitando a far uscire i giornalisti e le persone non coinvolte nel processo perché, non conoscendo gli atti, potrebbero influenzare la serenità dei giudici. E’ stata la richiesta della Montedison quella che, poi, ha accolto la Corte perché i 19 imputati hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato che prevede lo svolgimento del processo in camera di consiglio. I legali del polo chimico hanno, poi, presentato un’eccezione per far escludere la Solvay dalla parti civili del processo perché finita nell’altra inchiesta con l’accusa di omessa bonifica. Ma l’eccezione è stata rigettata lasciando l’altra grande azienda chimica nell’elenco delle parti civili e che, poi, ha commentato: «Ancora una volta Montedison ha cercato di escludere Solvay». L’ex direttore: denunciai l’inquinamento. A quel punto al banco si è seduto Guarracino che ha ricostruito i suoi anni nello stabilimento spiegando di aver denunciato i valori difformi delle analisi e di averlo segnalato al Comune di Bussi per attivare la procedura che avrebbe portato alla conferenza dei servizi. Solo che quella conferenza, secondo la ricostruzione di Guarracino, sarebbe stata convocata un anno dopo, nel momento in cui il direttore aveva terminato il suo incarico. Per Guarracino, l’accusa – com’è riportato nel capo d’imputazione – recita che avrebbe partecipato con gli altri a una «strategia d’impresa finalizzata a rappresentare una situazione ambientale distorta» e che il «piano di caratterizzazione» a cui l’ex direttore ha fatto riferimento per far emergere il suo buon operato sarebbe stato invece, per i pm, «redatto in apparente e formale ossequio al decreto ministeriale del 1999». L’email del 2001: «E’ questa la linea da seguire?» La Corte, poi, ha fatto vedere un’email a Guarracino inviata dal perito Piazzardi a Giuseppe Quaglia, responsabile del laboratorio di Bussi e imputato nel processo, e per conoscenza anche a Guarracino. Nel testo Piazzardi faceva riferimento a due diversi dati sulle analisi e domandava: «E’ questa la linea da seguire?». E Guarracino, in aula, avrebbe illustrato quel testo dicendo che la difformità dei dati sulle analisi sarebbe dipesa dal fatto che, all’epoca, le analisi venivano condotte da due diversi laboratori: uno esterno, più attrezzato, e uno interno all’azienda. Piazzardi: io, un esecutore. Poi, è stato il turno di Piazzardi, perito chimico e tecnico incaricato della Hpc Environtec. Il perito ha ricordato di essere stato un «esecutore di Ausimont», di aver svolto il suo lavoro in base a direttive dell’azienda che gli diceva quali e quanti campioni da analizzare. Il processo torna il 4 aprile con la requisitoria dei pm.