PESCARA Angelo Di Paolo si è dimesso ieri da assessore regionale dopo giorni di indiscrezioni sul suo passaggio al centrosinistra come candidato alla Regione in una delle liste di Luciano D’Alfonso. Di Paolo, radici democristiane, è vero uomo del territorio: sindaco di Canistro per 22 anni (oggi su quella poltrona siede il figlio Antonio), è stato presidente della Comunità montana Valle Roveto, assessore provinciale all’Aquila, poi assessore regionale. La sua candidatura con D’Alfonso è contestata da una parte del Pd. Consigliere Di Paolo, Chiodi quando ha saputo è caduto dalle nuvole e l’ha attaccata pesantemente...» «Mah, capisco il nervosismo, ma credo che un presidente di Regione non debba lasciarsi prendere la mano dal risentimento se uno fa una scelta diversa da quella che a lui pareva naturale». Solo pochi giorni fa avete fatto una conferenza stampa insieme. Non vi eravate parlati? «Ho fatto la conferenza stampa perché ritengo che sino a quando non si prendono certe decisioni vadano conservati il rispetto e l’impegno per le istituzioni». Quando ha deciso di abbandonare il centrodestra? «La scelta maturava da tempo. Ho cercato di resistere a questa tentazione poi ho rotto l’indugio...» Qual è stata la molla? «C’erano state scelte del governo regionale che non ho condiviso e che più volte ho denunciato». Per esempio? «Penso alla compressione che ha subito il mio assessorato, scavalcato rispetto a molte competenze riguardo alla ricostruzione, all’edilizia scolastica». Siete stati tagliati fuori dalla ricostruzione? «Il mio assessorato ha cercato fin dall’inizio di avere un ruolo nella ricostruzione, non perché io mi sentissi la persona più adatta, ma perché la mia struttura poteva intervenire sui programmi, sulle ipotesi di soluzione. Abbiamo tutte le competenze necessarie: tecnici, ingegneri, geometri, geologi, economisti, amministrativi che potevano essere utilizzati visto che sono già pagati e avrebbero così ridotto gli oneri che andavano a incidere sulla ricostruzione». E il lavoro all’Aquila poteva essere accelerato? «Quanto meno avremmo dato una spinta forse diversa, anche perché conosciamo tutti meglio il territorio». Con Chiodi ha parlato di questi problemi? «Ne ho parlato e me ne sono lamentato. Evidentemente la sua idea era diversa e molte scelte fatte poi non sono state condivise con la struttura». È successo lo stesso col ciclo idrico? «Ho chiesto tra le altre cose che venisse rivista la posizione di Goio (il commissario alla bonifica dell’Aterno Pescara, ndr.)». Perché? «Pensavo che l’assessorato avrebbe potuto fare, non dico meglio, ma un’azione più costante di controllo e monitoraggio. Però non voglio dire che tutto sia stato negativo, non sarei onesto con me stesso. Ci sono stati interventi con i fondi Par, abbiamo fatto tutti i bandi per la sicurezza idraulica e per l’edilizia scolastica, anche se scontiamo una certa lentezza. Non c’è stata un’azione incisiva forte per risolvere i problemi». Ci sono cose che sono rimaste al palo? «Basti vedere la riforma delle Ater: ho presentato il progetto un anno fa e giace ancora in commissione; ho fatto il piano di tutela delle acque e anche quello è fermo in commissione, mentre rischiamo l’infrazione comunitaria. Ecco, queste cose mi hanno fatto pensare che la Regione ha bisogno di un impulso diverso». Questa è la spiegazione che darebbe a chi l’accusa di essere un voltagabbana? «Ma quale voltagabbana! Io sono sempre della stessa cultura politica: sono un cattolico democratico. Mi sono proposto sempre nelle liste civiche, ho cercato di dare risposte utili evitando contrapposizioni ideologiche che non servono a dialogare con il territorio. Lo possono riconoscere tutti i sindaci con cui ho rapporti. Non ho una visione di appartenenza. Io cerco di dare supporto morale ai sindaci che si lamentano spesso per l’assenza della politica, non solo come risposta, ma anche come incoraggiamento nell'azionequotidiana. Poi mi dispiace quando in queste azioni si inseriscono i “cortigiani” che si preoccupano solo del loro posto di lavoro». Pensa che il suo elettorato accetti la scelta di cambiare coalizione? «Ho parlato con i sindaci e loro hanno parlato con me. La scelta è stata condivisa, non l’ho fatta senza riflettere. Abbiamo ragionato anche rispetto agli scenari nazionali, dove c’è una politica dinamica, in trasformazione. Basta guardare alla scelta del Nuovo centrodestra: cosa c’è di scandaloso?» D’accordo, ma perché c’ha messo tanto a dimettersi? «Sì, le voci giravano da un mesetto, ma quando si è in fase di riflessione e di dialogo si aspetta. Ho cercare di capire meglio le idee e le riflessioni che provenivano da altrove, e anche le cattiverie, che non ho mai raccolto...». È stato Luciano D’Alfonso a contattarla? Vi conoscevate già? «D'Alfonso lo conosco da tanti anni, perché anche lui come me viene dalla Democrazia cristiana. Poi di tanto in tanto ci siamo visti per confrontarci su questo o quel problema e per vedere le scelte da fare». D’Alfonso le ha promesso qualcosa? Che so, un assessorato? «No, non abbiamo contrattato niente, non ci siamo visti per fare discorsi che egoisticamente possono essere interessanti. La mia scelta non è finalizzata a un assessorato. Posso fare il consigliere semplice, l’importante è riuscire a dare le risposte». Che cosa risponde agli elettori o militanti del Pd che non la vogliono in lista perché viene dal centrodestra? «Capisco gli umori delle persone, soprattutto quando vedono ridursi i propri confini. Ma se andiamo ad analizzare bene, veniamo tutti dalla stessa cultura. Poi c’è chi ha una visione manichea della politica, dove il bene è tutto da una parte e il male da un’altra parte. Io sono per il dialogo, credo che sia il momento giusto per cercare di capire, comprendere e lavorare insieme per l’interesse della Regione».