Negli anni settanta la crisi petrolifera consigliò di bloccare la chiusura delle linee ferroviarie secondarie presenti nelle varie regioni italiane, anzi, in alcuni casi si concretizzarono addirittura delle riaperture di linee locali affrettatamente chiuse; successivamente, negli anni ottanta, si tornò a parlare di “taglio dei rami secchi” ferroviari, ma anche in questo caso, grazie anche alla forte opposizione delle comunità locali, i tagli che si concretizzarono furono effettivamente molto limitati.
Alcune aree metropolitane di importanti città italiane beneficiarono del ripristino di queste linee ferroviarie minori, magari recuperate in funzioni di tramvia o in alcuni casi nella valorizzazione turistica.
A partire dagli anni ’90 la tendenza si è invertita e la politica di dismissione delle linee minori ha subito una continua accelerazione.
In tutta Europa la rete ferroviaria si sta riducendo di anno in anno sempre di più; a tal proposito basti ricordare le parole dell’ex-Commissario dei trasporti, Loyola de Palacio, che affermava: “negli ultimi 30 anni, in media, sono spariti in Europa 600 km di ferrovia ogni anno quando si costruiscono 1200 km di nuove autostrade” (Commissione EU Libro bianco 2001).
Infatti, nonostante negli ultimi 25 anni siano state costruite nuove linee ferroviarie per l’alta velocità, il che ha comportato un aumento del traffico ferroviario ad alta velocità, nella realtà la lunghezza totale delle reti ferroviarie si è ridotta di anno in anno.
Nello stesso periodo, all’interno della Unione europea a 27, nel settore ferroviario e nell’industria ferroviaria si è avuta una riduzione dell’occupazione di circa un milione di persone; una circostanza, questa, che viene sovente dipinta come “risparmio” di posti di lavoro senza che venga fatta alcuna distinzione tra la riduzione di posti di lavoro dovuta a tagli dei servizi offerti e riduzione dovuta al progresso tecnologico.
Tornando al caso italiano, nonostante le esperienze passate negli ultimi 4-5 anni, in particolare a partire dal 2007 e con una forte accelerazione dal 2010, si è nuovamente ripresentata la volontà politica di dismissione del servizio ferroviario su molte linee locali, sia di quelle gestite da Ferrovie dello Stato Italiane, sia di quelle legate ad altre concessioni.
Più o meno in tutta Italia, a “macchia di leopardo” (Piemonte, Friuli, Lazio, Abruzzo, Campania, Calabria, Sicilia, etc...), si è assistito e si assiste alla chiusura di linee ferroviarie. Tali chiusure vengono spesso definite come “interruzione temporanea” o “sospensione del servizio”. In molti casi (in assenza evidentemente di ponderate valutazioni dei costi esterni delle diverse modalità di trasporto) si ha una progressiva sostituzione dei servizi ferroviari con servizi di autobus.
Si tenga infine presente che RFI, la società che gestisce il patrimonio infrastrutturale ferroviario italiano, intende cambiare il processo manutentivo, i servizi di circolazione e l’accoglienza nelle stazioni: perseguendo una logica “di mercato” si conforma altresì alla diversa disponibilità delle risorse e al ridimensionamento dei finanziamenti dallo Stato e dalle Regioni.
In particolare suddetto progetto presenta una nuova classificazione delle linee fondata sull’idea di utilizzazione delle stesse in base al numero dei treni circolanti e della loro classificazione. Tale concetto cambierà in modo radicale le azioni manutentive sulle linee fino a 40 treni al giorno, che rappresentano il 49% della rete; infatti per queste linee gli interventi manutentivi avranno probabilmente una programmazione periodale oppure verranno fatti in caso di guasto, ma in entrambe i casi è prevista la sospensione del servizio che sarà effettuato con autobus sostitutivi.
In sostanza, per interventi manutentivi sulle linee ferroviarie regionali “secondarie” (per guasti o periodici) si preannunciano chiusure di più giorni o anche di mesi, che potrebbero determinare la scelta di effettuare i servizi con autobus sostitutivi, nell’immediato più economici in termini di costo diretto ma sicuramente più onerosi per i cittadini e la collettività in termini di costi sociali e ambientali. Inoltre ciò, se collegato agli accordi in essere per cessare o diminuire il servizio già sottoscritti in alcune Regioni (es. Toscana, Piemonte), potrebbe significare una lenta agonia fino alla chiusura di linee a scarso traffico (i cosiddetti “rami secchi”).
Un caso emblematico di tali tendenze è offerto dalle politiche del TPL della Regione Toscana che analizzeremo d’ora in avanti nello specifico. Per dare conto della direzione delle scelte intraprese dalla Regione Toscana può essere utile iniziare la disamina da un esempio concreto assai recente: il taglio massiccio di treni sulla linea porrettana.
“Dallo scorso febbraio la Regione Toscana, in accordo con la Provincia e il Comune di Pistoia, ha deciso un drastico ridimensionamento del servizio ferroviario sulla tratta Porretta-Pistoia. I treni sono stati sostituiti con delle coppie di bus: uno che percorre la ss66 e uno che percorre la ss64. Il servizio sostitutivo del Copit, a causa delle difficili condizioni del traffico sulle due statali e, in inverno, del manto stradale (neve, ghiaccio), non garantisce puntualità e, a causa di orari assurdi e mancate coincidenze, ha portato a un effettivo taglio del 55% (12 treni su 22).
Nei fatti questa situazione ha costretto la gente, prima servita dalla Porrettana, ad utilizzare l’auto per i propri spostamenti, con la conseguenza che dove prima c’era un treno ora ci sono due autobus vuoti, con quel che ne consegue in merito alle ricadute sul traffico e sull’inquinamento ambientale. Siamo, con tutta evidenza, in presenza di un disservizio funzionale: si creano ad arte le condizioni per svuotare il servizio dall’utenza come primo passaggio per arrivare poi alla chiusura del servizio stesso.”
Risale ormai ad alcuni mesi fa la dichiarazione da parte della Regione Toscana di una rimodulazione del contratto di servizio con Trenitalia con sospensione o riduzione dell’offerta di servizi sulle linee “minori”, a causa dei più esigui stanziamenti di fondi. Questi tagli vengono effettuati con calcoli di mercato, con l’intento di ridurre i costi diretti ma senza considerare i costi esterni, di fatto confermando quell’accennato pericolo di chiusura definitiva di queste linee. La rete ferroviaria Toscana, pur collocandosi in una situazione migliore rispetto ad altre regioni, soffre di numerosi deficit infrastrutturali (linee a binario unico) che allungano i tempi di percorrenza con conseguenti ritardi, nonché di problemi di scarsa accoglienza nelle stazioni (senza servizi e in stato di abbandono) che provocano gravi disagi a viaggiatori e pendolari; con i tagli previsti potrebbe ritrovarsi ancor più impoverita nell’infrastruttura e nei servizi.
In Toscana viaggiano ogni giorno circa 800 treni con oltre 23milioni di treni/chilometro all’anno: un servizio abbastanza capillare, purtroppo ultimamente penalizzato da numerosi disservizi che individuano, in relazione al 2013, in particolare in numerose soppressioni (una media di oltre 100 treni al mese), tra le cui cause vi sarebbero la scarsa manutenzione (carrozze e locomotori) e la mancanza di personale (capi treno e macchinisti).
Anche la puntualità dei treni, rispetto ai dati degli anni precedenti, è peggiorata; in particolare il Comitato Pendolari Valdarno Direttissima denuncia continui “dirottamenti” dei treni dalla “direttissima” sulla linea ferroviaria “lenta”, a causa delle interferenze con i treni ad alta velocità Frecciarossa e Italo, con conseguenti ritardi e tempi più lunghi di percorrenza, soprattutto nelle fasce di punta che aggiungono ulteriori disagi a causa del sovraffollamento dei treni. Recentemente due deputati del Movimento 5 Stelle, Massimo Artini e Samuele Segoni, hanno documentato questa situazione in alcune interrogazioni parlamentari in cui hanno denunciato le interferenze tra treni ad Alta Velocità e treni regionali nonché il generale sovraffollamento di questi ultimi.
In questo quadro la Giunta regionale toscana ha, attraverso la voce del Presidente Enrico Rossi, dato vita ad una sequela di polemiche con Trenitalia nell’ottica, come vedremo a breve, di una ben precisa strategia.
Per comprendere i retroscena e le correlate intenzioni riportiamo letteralmente quanto scritto dal Presidente Rossi in un suo colorito commento su Facebook, ampiamente ripreso dai quotidiani nei giorni successivi: “Ora mi sono davvero rotto le palle con Trenitalia e con le politiche del governo per il trasporto regionale su ferro. Così, per usare le stesse parole usate dal primo ministro Enrico Letta. Ferrovie dello Stato ha realizzato nel 2012 utili per 380 milioni derivanti dall’Alta Velocità.
E il governo che fa? Anziché chiedere a Moretti di spendere quegli utili sui treni regionali che fanno letteralmente schifo, decide di fare un favore a NTV, cioè a della Valle e a Montezemolo, e di ridurre di 80 milioni i costi dell’uso della infrastruttura ferroviaria agli utilizzatori. Nessuno ne parla, nessuno contesta e ora sul Tirreno devo leggere che Moretti e il sottosegretario D’Angelis parlano, addirittura attaccando le Regioni, dopo avere tagliato i treni e dopo che da anni il governo ha abbandonato il trasporto su ferro.
Io propongo che gli utili di Ferrovie dello Stato siano investiti sui treni regionali per migliorare le infrastrutture e il materiale rotabile e aumentare le corse. Anzi di più. Propongo che si metta una tassa progressiva sui treni dell’alta velocità per coloro che viaggiano in prima classe, o come diavolo si chiamano business, vip, class e altro ancora con queste parole idiote e classiste. E i risultati di questa tassa, che i nostri super vip, class, business e altro ancora incravattati e inamidati e profumati, sono certo pagherebbero ben volentieri, siano destinati a migliorare il trasporto regionale.
Chi ha un po’ di coscienza non può provare che imbarazzo vedendo in stazione i treni dell’alta velocità, moderni puliti, efficienti, con quattro, dico quattro classi, e, accanto, sulla stessa piattaforma i treni regionali, in ritardo, sporchi, vecchi, da cui scendono i lavoratori e gli studenti. Anche questo è il risultato delle politiche di destra e classiste che si sono fatte in questi anni. Ora si deve cambiare, se no sarà lotta dura. E io so da che parte devo stare.”
Che il presidente Enrico Rossi avesse una sorta di ritrosia nei confronti di FSI è stato chiaro fin dall’inizio, anzi, ben prima del suo mandato, durante la campagna elettorale quando aveva affermato: “sul trasporto ferroviario non mi limiterò ad avere una sola scelta, una sola offerta, ma metterò in concorrenza più offerte”. Così come non ha mancato in altre occasioni di muovere critiche all’azienda ferroviaria pubblica, senza nascondere l’intenzione politica di liberalizzare il trasporto ferroviario nella Regione Toscana dividendo e spacchettando in lotti il servizio alla scadenza del contratto con Trenitalia nel 2014.
Si consideri che, nel frattempo, nella Regione Toscana è già partita la gara per l’affidamento dei servizi TPL su gomma. L’Agenzia di informazione della Giunta Regionale Toscana Notizie, ha precisato che “Enrico Rossi chiede a Trenitalia di stornare gli utili dell’alta velocità, 380milioni di euro nel 2012, sui treni regionali”, una richiesta alquanto paradossale se proveniente da chi, delle liberalizzazioni dei trasporti, ha fatto un programma politico.
L’Agenzia della Regione6 ha anche riportato un nuovo commento del Presidente Rossi in cui ricordava l’esistenza di un decreto legge di previsione di un eventuale sovrapprezzo da pagare da parte delle compagnie ferroviarie (Trenitalia e NTV) sulle tratte ad Alta velocità, di fatto mai attuato; parole che impropriamente, come vedremo, mettono sullo stesso piano la società privata NTV e Trenitalia. Nel tentativo di capire perché Enrico Rossi sia arrivato a questo punto occorre tornare al 7 novembre 2013 quando il quotidiano online del Gruppo FS Italiane, FSNews, ha pubblicato e messo in evidenza tre comunicati del Gruppo.
Il primo riguardava la notizia di tranche di bond emessi da FSI: “la nuova tranche avrà un valore di 750 milioni di euro.
L'emissione complessiva prevista per l’intero 2013 è però di 1,5 miliardi di euro. «I bond che emetteremo - ha spiegato Moretti - hanno due scopi: il completamento delle infrastrutture e delle commesse per nuovi treni regionali». [...] Parlando di TPL, l’AD del Gruppo FS Italiane ha ricordato: «stiamo investendo quasi 3 miliardi in nuovi treni regionali» [specificando che i tre miliardi] «poi dovranno rientrare attraverso i Contratti di Servizio con le Regioni»”.
Questa notizia lasciava intendere che la dirigenza di FSI si rendeva disponibile ad investimenti rilevanti sul TPL ferroviario a fronte tuttavia di un rinnovo automatico di altri sei anni dei Contratti di Servizio delle Regioni, attualmente in essere con Trenitalia e quasi tutti in scadenza nel 2014. È questa situazione che ha fatto “infuriare” il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi? Procediamo con ordine. Nel secondo comunicato l’AD di FSI Moretti confermava che i conti del Gruppo continuano ad essere buoni, precisando che “gli utili che facciamo sono utili di un’impresa che li reinveste nel servizio”.
Infine il terzo dei tre comunicati riportava alcune proposte di Moretti a margine del convegno “Imprenditoria e Startup femminili”. Secondo l’AD di FSI “«per il trasporto regionale un’ipotesi che deve essere affrontata è quella di fasce tariffarie differenziate, così come ci sono negli altri Paesi, con sistemi di incentivazione e disincentivazione di certi orari»[...]. La proposta, se attuata dalle Regioni alle quali compete stabilire la politica tariffaria, potrebbe invogliare chiunque può e non è legato a timbrature rigide o orari fissi a muoversi fuori dalle fasce di massima frequentazione, traendone anche un vantaggio economico”.
Quest’ultimo comunicato ha ufficialmente scatenato la reazione di Rossi ed anche quella di alcune associazioni dei consumatori che intravedono dietro le fasce tariffarie differenziate un aumento dei biglietti ferroviari. In effetti, l’idea della tariffazione per fasce sembra spuntare fuori come da un cilindro anche se Moretti non ha mai nascosto come negli altri Paesi europei le tariffe siano più alte. “In Italia il ricavo delle Ferrovie per i trasporti locali, tra Regione e pendolari è di 13 centesimi al passeggero per chilometro.
In Germania è di 26, in Francia di 20”10. Si tratta di un differenziale che mostra come sia difficile poter garantire un servizio universale più efficiente e capillare se non aumenta il livello di finanziamenti pubblici.
Occorre comunque rilevare che già in precedenza si erano accesi i contrasti fra Trenitalia e alcune Regioni italiane, colpite dalla decisione di sopprimere il residuo servizio Intercity poiché non più sostenibile a “mercato”, pur trattandosi di fatto di un servizio regionale e interregionale utilizzato anche da molti pendolari per lavoro o studio, in quanto tali treni collegano le piccole città italiane.
Al taglio dei treni Intercity, oggetto anche di varie interpellanze parlamentari, il governo ha risposto attraverso il sottosegretario ai beni culturali Simonetta Giordani: “gli intercity oggetto dell’interpellanza fanno parte dell’offerta a mercato e, non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, sono effettuati a rischio di impresa e si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico: le dimensioni e le caratteristiche dell’offerta, quindi, sono determinate da valutazioni commerciali.
La relativa programmazione, pertanto, è effettuata direttamente da Trenitalia che per i servizi in questione ha evidenziato uno squilibrio economico pari a 29 milioni di euro. In particolare, Ferrovie dello Stato ha riferito che nella quota intercity effettuati a mercato che percorrono la linea dorsale tra Roma e Firenze e servono varie destinazioni (da Milano, Trieste/Venezia sino a Roma/Napoli/Salerno), rientrano 6 coppie di collegamenti: si tratta di collegamenti che svolgono spesso, per buona parte, un servizio di cabotaggio, servendo flussi di pendolari che li utilizzano per tratte limitate, sostanzialmente paragonabile a quello del trasporto ferroviario locale gestito dalle regioni.
Questi treni presentano, come appena detto, ormai da tempo un rapporto costi/ricavi fortemente negativo, con perdite rilevanti.”11 Successivamente, in vista di un tavolo negoziale, da precisare, al quale siederanno Regioni, Governo e Trenitalia, quest’ultima ha fatto sapere di aver sospeso ogni decisione circa la questione degli Intercity e del freccia bianca Genova-Roma.
Gli antefatti ci mostrano quindi una situazione di forte tensione tra FSI e Regioni dovuta al progetto di un nuovo orario ferroviario che, per via dei tagli al servizio universale di competenza del governo centrale, veniva ridimensionato per molte tratte.
La questione dell’attrito tra Regione Toscana e FSI va quindi inquadrata anche in questo contesto: da un lato la compagnia pubblica effettua tagli dei servizi universali a seguito dei corrispondenti tagli dei finanziamenti provenienti per lo più dal governo centrale e in alcuni casi anche dalle Regioni; dall’altro lato le Regioni subiscono i tagli del governo centrale che si ripercuotono sulle possibilità di finanziamento del TPL e accusano, spesso confondendo le origini del problema, la compagnia dei tagli di servizio effettuati.
Emblematica al riguardo la dichiarazione di Moretti sul TPL: “i programmi di trasporto li fanno le Regioni. Se intendono raddoppiare il servizio – è il suo messaggio – noi siamo in grado di farlo”.
Stesso discorso sulle tariffe ferroviarie: “noi non chiediamo aumenti di prezzi.
Quando si attribuisce a me la volontà di aumentare le tariffe, non lo posso fare, perché non decido io ma le regioni, così come tutti i dettagli del servizio compresa la vetustà dei treni”.12 Per capire come si è giunti a questa situazione paradossale, occorre raccontare in breve la annosa vicenda della liberalizzazione del trasporto ferroviario passeggeri sull’Alta Velocità che, come vedremo, è strettamente connessa alle vicende relative al TPL e, più in generale, al trasporto universale.
Nella fattispecie della liberalizzazione italiana, l’asimmetria creata dalla concorrenza su un sistema di tratte ad alto grado di redditività è resa ancora più intensa dalla non ottemperanza dell’obbligo sancito in sede di formulazione del protocollo d’intesa tra Nuovo Trasporti Viaggiatori, impresa ferroviaria AV privata, e il Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti, in cui si stabiliva che la compagnia avrebbe dovuto pagare annualmente un contributo di solidarietà per finanziare il servizio universale.
Questo obbligo è ribadito anche dalla legge 111/2011 che all’art.21 comma 4 recita: “al fine di consentire uno sviluppo dei processi concorrenziali nel settore dei trasporti ferroviari, in armonia con la necessità di assicurare la copertura degli oneri per i servizi universali di trasporto ferroviario di interesse nazionale oggetto di contratti di servizio pubblico [...] è introdotto un sovrapprezzo al canone dovuto per l’esercizio dei servizi di trasporto passeggeri a media e a lunga percorrenza, non forniti nell’ambito di contratti di servizio pubblico, per la parte espletata su linee appositamente costruite o adattate per l’alta velocità, attrezzate per velocità pari o superiori a 250 chilometri orari”.
A dire il vero i treni di NTV non hanno pagato e non pagano questo contributo specifico: di fatto la concorrenza sull’alta velocità prosegue senza che il contributo di solidarietà per il finanziamento del servizio universale sia entrato a regime.
L'articolo è il preambolo di un più esteso lavoro di Lorenzo Dorato e Pasquale Felice del gruppo Gruppo di Studio e Ricerca Politiche dei Trasporti in Italia e in Europa (ricerca.poltrasporti@gmail.com)