TORINO «La sinistra che non cambia diventa destra» e «noi siamo a palazzo Chigi per cambiare, altrimenti facciano loro. Noi si cambia mestiere». Quindi al Pd «dico che non è tempo per litigare, abbiamo troppo da fare». Matteo Renzi usa contro quei «loro» che si mettono di traverso la stessa ruspa che intende usare «dentro la pubblica amministrazione». Il «sindaco di Firenze», come per errore ancora si autodefinisce salvo poi correggersi, parla dentro il PalaOlimpico di Torino gremito di amministratori locali e candidati alla regione Piemonte. Qui, come in tutta la regione, il 25 maggio si vota anche per la regione e Sergio Chiamparino è in prima fila insieme ai big piemontesI, Piero Fassino in testa. A loro Renzi si rivolge da amministratore locale e, ora, da sindaco di un’Italia che «deve cambiare verso». E lo fa anunciando, dal 2015, aiuti per le pensioni sotto i 100 euro. Parla a braccio davanti a un podietto che trema ogni volta che prende i foglietti sui quali ha scritto appunti per un discorso che parla anche alla minoranza interna del Pd riunita a Roma nel tentativo di trovare una propria unità. A loro il premier dice che nel Pd «non è tempo di litigare perché ci sono molte cose da fare». E giù l’elenco delle battaglie che impediranno a Renzi di partecipare alla campagna elettorale per le Europee. In testa le riforme istituzionali che non sono, ricorda, solo la cancellazione del Senato, ma anche la revisione del Titolo V e del Cnel. Organo costituzionale «inutile» che ha reso più netta la fatica di chi la mattina esce per andare a lavorare. «Entro il 25 maggio il superamento del bicameralismo», assicura l’ex sindaco che poi ringrazia i senatori del Pd del senso di responsabilità con il quale lavorano alla riforma.
L’AFFONDO
Non è certo lo stesso senso di responsabilità dei dirigenti delle Camere che, sostiene Renzi, rifiutano di ridursi il proprio stipendio rifugiandosi nell’autonomia finanziaria di cui godono Camera, Senato e Quirinale. La battaglia durissima e «violenta» non spaventa il presidente del Consiglio che attacca la burocrazia, anche se precisa che «è composta da una maggioranza di persone impegnate». «Chiedere un sacrificio ai manager non è una punizione. E’ inaccettabile che gli stipendi siano aumentati del 170%. Pensavo di essere criticato per il tetto troppo alto a 238 mila euro». Ed invece no, il muro è durissimo da scalfire, ma Renzi promette battaglia: «Accusateci pure di demagogia, ma è una questione di credibilità delle istituzioni. Noi - rivendica - resteremo a contatto con la realtà».
Non sembra aver bisogno di sondaggi per capire cosa vuole il popolo di sinistra che si spella le mani in platea. «Non sono a fare le televendita, anche se Crozza me lo fa fare molto bene e dal quale ho preso un paio d’idee». Una deve essere quella di «tornare a zappare». Un mestiere, l’agricoltore, non di moda perché «ci sono fiction su tutto tranne che sull’agricoltura». Nella regione dell’ormai ex governatore Cota, c’è ne è anche per la Lega che ha messo in nota spesa le mutande verdi che «Chiamparino non si comprerà e comunque non con i soldi dei contribuenti». L’affondo più duro è ancora una volta per il M5S di Grillo che non va inseguito ma lasciato «nel suo brodo». «Dovevano cambiare il palazzo e il palazzo sta cambiando loro», attacca Renzi riferendosi alla difesa del Senato che stanno facendo i grillini. «Ad Obama ho detto che abbiamo mille parlamentari - racconta Renzi - forse facevo meglio a non farlo visto che loro ne hanno la metà». Poi, in serata l’ultima novità: metteremo on line ogni centesimo di spesa pubblica di sindacati, partiti e pubblica amministrazione. La necessità di un cambio di «verso» Renzi la sollecita anche per la Ue che «basata solo sul rigore non ha futuro», ma chi dice «usciamo dall’euro, sta dicendo che le istituzioni non sono riformabili. Sta dicendo “arrendiamoci”. Io invece dico che è possibile cambiarle».