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Data: 13/04/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Alitalia, Etihad rimette mano all’offerta. Scure su impiegati e operai, in 2.000 rischiano il posto

MILANO Etihad struttura di nuovo l’offerta su Alitalia per avere più garanzie che il cda non la rispedisca al mittente: uno dei punti da levigare sarebbe il debito con le banche. Per questo le consultazioni effettuate da Citi, advisor di Cai, hanno fatto emergere l’opportunità di rinviare di qualche giorno il cda fissato a Milano per domani pomeriggio, per ammorbidire la proposta. Il consiglio potrebbe tenersi martedì o mercoledì per dare il tempo di negoziare gli aggiustamenti al tavolo con i banchieri di JpMorgan che assistono Etihad: le parti si sarebbero incontrate ieri per proseguire il lavoro anche oggi, tenendosi sempre in contatto con Gabriele Del Torchio. L’obiettivo sarebbe quello di stendere una nuova versione dell’offerta che abbia probabilità di essere accettata e sottoscritta dagli amministratori di Alitalia. Finora James Hogan ha riscontrato il pieno appoggio di Matteo Renzi, Maurizio Lupi per conto del governo al piano di salvataggio di Alitalia, specie per quanto concerne le competenze dell’esecutivo - sistema di trasporto integrato con il treno, liberalizzazione degli slot di Linate - ma ora deve trovare il consenso degli altri stakeholders, soci in testa.
Di sicuro la nuova proposta dovrà rivedere i termini dei sacrifici chiesti alle banche (Intesa Sanpaolo e Unicredit soprattutto) nella loro veste di creditori. Etihad avrebbe voluto che dei 549 milioni di esposizione, circa 400 venissero stralciati: write-off (cancellazione) o conversione in strumenti ibridi non partecipativi. Insomma i due istituti avrebbero dovuto accusare una perdita secca. Citi avrebbe percepito che le due banche sono disponibili a fare la loro parte riguardo il ruolo di creditore, prima però devono farla gli azionisti, tra i quali ci sono anche Intesa Sanpaolo che ha il 20,59% e Unicredit (12,99%). Questo significa allora che il piano dovrà prevedere una pulizia di bilancio più radicale di quella prospettata. L’impairment test, cioè la verifica delle poste dell’attivo di Alitalia per accertare il valore (l’ok al bilancio è stato rinviato) dovrebbe estendersi ben oltre le ipotizzate svalutazioni dell’avviamento di AirOne. Potrebbe coinvolgere Alitalia Loyalty, la newco contenente il programma MilleMiglia creata a gennaio 2013 per un maquillage contabile. Più altre voci che se rettificate ridurranno ancora di più il patrimonio, diluendo le partecipazioni dei soci. Intesa e Unicredit, invece, sarebbero propensi a rimodulare i crediti allungandone le scadenze: attualmente hanno durata al 2015, potrebbero accettare un’ulteriore estensione. Se dovesse essere necessario potrebbero concedere altri 35 milioni per completare il prestito di 165 accordato a metà febbraio.
L’INVESTIMENTO
Etihad è disposta a mettere sul tavolo 500 milioni, di cui 300 in aumento di capitale aperto anche ad alcuni soci attuali, che gli darebbe la possibilità di attestarsi al 45% circa. I restanti 200 milioni, invece, sarebbero utilizzati come finanziamento-soci e, un gruzzolo, per acquistare da Cai gli slot di Londra all’interno della revisione del network complessivo che è un altro dei punti della proposta su cui si lavorerà fino all’ultimo. Il nuovo piano di Abu Dhabi non è molto distante da quello di Del Torchio che sta consentendo al vettore italiano di restare in piedi in continuità aziendale. Dovrebbe essere più rigoroso nel taglio dei costi con la previsione di arrivare a 3 mila esuberi in cig in modo da consentire il ritorno al break-even nel 2017 da raggiungere anche attraverso l’implementazione delle rotte intercontinentali, con il rilancio di Malpensa e, soprattutto Fiumicino destinato a diventare il secondo hub del polo. Lo sviluppo internazionale si estende anche a Linate che ridurrà il traffico navetta ma potenzierà i collegamenti con le città europee non capitali. Con Etihad, insomma le possibilità di prendere il volo stanno aumentando.

Scure su impiegati e operai, in 2.000 rischiano il posto

ROMA James Hogan è ripartito per Abu Dhabi consegnando i compiti a casa a Gabriele Del Torchio: sforbiciate pesanti al costo del lavoro prima di convolare a giuste nozze. Solo a conti fatti i due amministratori delegati di Etihad e Alitalia potranno sedersi al tavolo e firmare l’alleanza. Sacrifici rilevanti a partire da quello possibile, anzi probabile, pure se non confermato, del taglio di tremila persone, tra piloti, assistenti di volo e addetti di terra. Praticamente, un dipendente su quattro, rispetto ai 12.500 oggi a libro paga della nostra ex compagnia di bandiera. Le organizzazioni sindacali per ora si limitano a ribadire che per loro vale l’accordo siglato il 14 febbraio scorso che prevede cassa integrazione e contratti di solidarietà per i 1.900 esuberi già individuati e nessun ricorso alla cig a zero ore.
Ma, in effetti, la richiesta degli arabi è ben più indigesta: nel mirino ci sarebbero 3.000 dipendenti, più o meno tutti coloro che oggi sono in cassa o hanno contratti di solidarietà. Andando ad identificare le tre categorie che operano per conto dell’aviolinea, la più penalizzata risulterebbe quella di terra con 2.012 unità a rischio, a seguire quella costituita da hostess e steward (726), infine quella dei piloti (348).
Come si arriva a queste cifre? E’ sufficiente passare in rassegna i numeri e i diversi interventi sui costi che si sono succeduti negli anni. Settecento (125 tra il personale di volo - di cui 85 assistenti e 40 piloti - e 575 tra quello terra) sono in cig a zero ore, su base volontaria per quattro anni, già dal marzo del 2011; ad essi, dal marzo 2012, si sono aggiunti altri 28 piloti e 120 assistenti di volo. Totale, circa 850 cassintegrati a zero ore. Probabilmente destinati a uscire definitivamente dall’azienda.
L’OPZIONE
La recente intesa di febbraio ha fatto lievitare ulteriormente la cifra con il ricorso alla cassa integrazione a rotazione (picco massimo di 13 giornate al mese) per circa 4.000 addetti di terra che vanno a compensare il mantenimento del posto di 1.437 colleghi che erano e sono considerati in esubero. Per tutti i ”comandanti”, hostess e steward è stato adottato, invece, lo strumento dei contratti di solidarietà (mediamente cinque giorni al mese) che copre esuberi per 801 unità lavorative. Mettendo insieme i ”vecchi” cassintegrati a zero ore (850), i nuovi esuberi di terra del febbraio scorso (1.437) e il personale navigante in regime di solidarietà (280 piloti + 521 assistenti di volo), si tocca e si supera fatalmente a quella quota 3.000 che Etihad avrebbe fissato per far roteare la propria scure. Il ragionamento, magari fin troppo cinico, degli arabi sembrerebbe abbastanza chiaro: se Alitalia è riuscita e ancora riesce a volare facendo a meno di tremila persone, evidentemente potrà farlo anche in futuro. Magari migliorando ulteriormente le proprie finanze attraverso la decurtazione degli stipendi dei dirigenti che superano i 40.000 euro all’anno. Quest’ultima è una opzione che pure Gabriele Del Torchio aveva messo sul tavolo nella più recente trattativa con i sindacati, ma che non è stata portata avanti. Almeno per ora.
«I tagli? Non c’è nulla di vero», ha precisato ieri l’altro il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi. Sarà anche così, ma tra le organizzazioni sindacali è scattato l’allarme rosso. Temono che, a due mesi esatti, dalla firma dell’intesa sul personale, tutto possa essere rimesso in discussione e si debba riaprire un confronto con i vertici di Alitalia. Non certo con James Hogan che sarà anche un manager di talento, ma sicuramente non ha l’abitudine e forse neppure l’attitudine alle italiche maratone negoziali.

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