ROMA Sono almeno quattro per Etihad le condizioni minime inderogabili per andare avanti con Alitalia. Altrimenti, come anticipato dal Messaggero, l’alleanza sarà lettera morta. Un bel sogno coltivato a lungo e finito in incubo. Nella lettera firmata dal ceo James Hogan e indirizzata a Gabriele Del Torchio e Roberto Colaninno sono indicati gli ostacoli che hanno convinto la compagnia emiratina a chiudere la porta. Perché al momento, al di là dei silenzi ufficiali, l’operazione può considerarsi sul binario morto. Nella missiva, arrivata mercoledì ai vertici di Alitalia, non è indicata una dead line entro la quale rispondere. Semplicemente, dopo mesi di analisi dei bilanci, gli arabi ritengono che allo stato non c’è ragione di continuare. Perché mancano le quattro condizioni giudicate indispensabili. Siamo dunque arrivati al momento della verità. Perché, come noto, non ci sono alternative in campo e la forza contrattuale di Etihad è oggi ai massimi livelli. Lo sanno ovviamente sia a Palazzo Chigi, che si sta spendendo per tentare di salvare la trattativa, che i principali azionisti, rimasti quasi tutti sorpresi per l’improvviso dietrofront: solo pochi di loro, alla vigilia, manifestavano pessimismo.
I PALETTI
Implicitamente però la lettera spiega che cosa si dovrebbe fare per salvare le nozze, sebbene lasci intendere che il tempo delle chiacchiere è scaduto. Il primo punto riguarda la ristrutturazione del debito. In pratica si chiede alle banche finanziatrici, Intesa e Unicredit, un sacrificio di circa 400 milioni. Del resto, è il ragionamento, gli istituti bancari tra linee di credito, capitale versato e garanzie sono già esposte per circa 700 milioni. Conviene quindi anche a loro, pensano ad Abu Dhabi, fare un passo avanti per evitare di accumulare altre perdite. Un sacrificio che sarebbe poi ripagato dagli utili realizzati con la nuova alleanza. Senza un partner industriale solido sarà infatti complicato per Alitalia continuare a volare. Ed è su questa drammatica eventualità che può ancora giocarsi la trattativa. Al momento però le banche sembrano poco disponibili. Probabile comunque che anche alla luce della lettera di mercoledì riprenda il cammino negoziale auspicato da Palazzo Chigi. L’altra condizione riguarda la manleva rispetto alle cause pregresse. Etihad vuole che siano gli attuali azionisti a sobbarcarsi gli oneri dei contenziosi legali e fiscali del passato. Bisogna aggiungere che, nonostante la visita al premier Renzi e al ministro Lupi, non sono stati sciolti i nodi legati alla liberalizzazione delle rotte e al ruolo di Linate e di Malpensa. Slot a parte, Hogan si aspettava di più dall’esecutivo sia sul fronte della moral suasion sulle banche sia su quello degli esuberi. Gli arabi hanno chiesto procedure certe per tagliare il costo del lavoro segnalando che il personale deve diminuire di 3 mila unità. E ricevendo in cambio assicurazioni generiche. Lupi, che ha confermato l’arrivo della lettera, è convinto però che i soci italiani risponderanno punto su punto e che alla fine, magari con tempi più lunghi, si arriverà all’accordo. E’ evidente però che la mossa di Hogan, pensata a lungo, sposta la partita nel campo italiano. Con azionisti, banche e governo chiamati a fare molto di più. Etihad invece pare non avere fretta. Sebbene anche la compagnia del Golfo ieri abbia fatto capire che con un business plan credibile e un conto economico sostenibile l’alleanza ha senso. Sbarcare in Italia resta per loro questione strategica, così come poter disporre in Europa di un hub importante come Fiumicino. Per questo c’è già chi scommette che dopo la rottura possa tornare il sereno.
Vertice in extremis col governo per tentare di riaprire il dialogo
ROMA Lo strappo consumato da Etihad con la dura lettera di mercoledì, ieri ha costretto Alitalia a correre ai ripari con una serie di iniziative. L’ultima delle quali è la convocazione del cda per martedì 22 a Milano onde fare il punto sull’ultima infuocata puntata. L’ordine del giorno è rimasto quello fissato per il cda di lunedì 14 poi sfumato («stato di avanzamento del negoziato con il partner industriale, varie e eventuali») ma è ormai chiaro che il tema della riunione sarà ben altro. Ieri, dopo una lunga conference con Palazzo Chigi e i due azionisti bancari (Intesa e Unicredit), è infatti partita una lettera firmata dal presidente Roberto Colaninno e dall’ad Gabriele del Torchio alla volta di Abu Dhabi. Un tentativo in extremis di tenere in vita un negoziato che, se non è definitivamente tramontato nella forma, non sarà facile riallacciare visto che, per esaudire le richieste della controparte, si rischiano corto circuiti sociali (con i sindacati sul tema degli esuberi) e con il mondo politico delle regioni del Nord Italia.
Le condizioni tassative per realizzare la partnership industriale sono del resto contenute implicitamente nella lettera di Ethiad. Tutto abbastanza noto anche se, al contrario delle attese, il vettore emiratino non ha notificato un’offerta sulla base della quale aprire il negoziato. Ha invece posto 4 condizioni forti, in apparenza irrealizzabili (o quasi), alle quali subordina la lettera di intenti: 3 mila esuberi da realizzare tout court, cancellazione di 400 dei 549 milioni di debiti con le banche, garanzia della società su una serie di incognite pregresse, come il contenzioso con AirOne. In più la valorizzazione di Linate a scapito di Malpensa che la Lega rifiuta.
RIVOLTA DELLA LEGA
In mattinata Del Torchio e Colaninno avrebbero compiuto una ricognizione con i banchieri di Citi e gli avvocati di Bonelli Erede Pappalardo, tenendosi comunque in contatto con i principali azionisti. Poi nel pomeriggio conference call con base l’ufficio di Del Torchio a Fiumicino, e collegamenti con esponenti di punta del governo, di Atlantia, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Poste oltre Immsi, rappresentata da Colaninno. La discussione sarebbe partita da un giro di tavolo di considerazioni a ruota libera rispetto al tono duro della missiva di Etihad che presuppone regole e cultura che non sono quelle vigenti in Italia. Gli emirati vogliono che il taglio dei 3 mila dipendenti venga fatto in tempi stretti dal team di Del Torchio sulla base di criteri discrezionali e senza utilizzare gli ammortizzatori previsti della legislazione del lavoro. Naturalmente le relazioni industriali hanno le loro tappe e i loro tempi, pena il caos sociale con paralisi dell’attività a causa di scioperi. Poi c’è il nodo delle banche, in piedi da settimane. Gli arabi vogliono accollarsi meno passività possibili: di qui l’haircut di quasi tutto il debito a breve-medio termine con un’operazione dolorosa per Intesa Sanpaolo e Unicredit che, tra l’altro, essendo anche azionisti cumulano il rischio sul cliente Alitalia. Le posizioni dei due istituti non sarebbero propriamente allineate, con Unicredit che manifesterebbe più flessibilità rispetto ad Intesa Sanpaolo. Questa maggiore apertura si spiega anche col fatto che l’istituto guidato da Federico Ghizzoni è entrato nella partita più di recente quanto a coinvolgimento nell’azionario, rispetto alla Cà de Sass che è stata pioniera e regista del piano Fenice. Le banche inoltre sono chiamate assieme agli altri soci a dare una garanzie sul passato. Il governo invece deve trovare una quadra su Malpensa col rischio di fomentare la rivolta della Lega.
«Una strategia della tensione»
«La lettera di disimpegno Etihad dall'operazione Alitalia è a nostro avviso una pericolosa drammatizzazione che però va inquadrata nella dinamica dialettica degli attori negoziali». A dichiararlo è Antonio Divietri, il presidente dell'Avia (Assistenti di volo italiani associati) che aggiunge: «è legittimo il dubbio che questa fase possa essere parte di una strategia della tensione più o meno coordinata in danno dei soliti noti: i lavoratori». «Ci aspettiamo un colpo d'ala dalla presidenza del Consiglio per fare chiarezza». Forte preoccupazione è stata espressa anche dalla Cgil e dalla Uil. Per Susanna Camusso quella della compagnia aerea italiana è una «vertenza molto delicata non solo per le migliaia di lavoratori ma anche per il tema del trasporto, l’esecutivo deve perciò vigilare». Sulla stessa linea la Cisl: adesso basta con i sacrifici dei lavoratori.