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Data: 22/04/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Il decreto Poletti alla prova dell’aula

ROMA La rivoluzione è appena cominciata. Gli 80 euro nelle buste paga dei lavoratori dipendenti a basso reddito e lo sconto sull’Irap «sono solo l’antipasto». Adesso è necessario procedere spediti sulle riforme e, se non ci saranno sorprese, il governo potrà allargare il taglio delle tasse agli incapienti, ai pensionati e alle partite Iva. Il tutto, senza dimenticare le famiglie perché «ottanta euro dati a un single hanno un impatto diverso rispetto a un padre di famiglia monoreddito con 4 figli. Dobbiamo porci questo problema. L’Italia non si può permettere il lusso di trattare male chi fa figli» precisa Matteo Renzi in una intervista a Repubblica. Chiuso il capitolo bonus, il premier lavora alle prossime mosse: la riforma della Pubblica Amministrazione, quella della giustizia e lo “sforbicia Italia”. Il pacchetto di riforme con il quale Renzi vorrebbe cambiare il paese in pochi mesi impegnerà il governo in una difficile opera di mediazione che dovrà trovare un punto di equilibrio tra le richieste dei partiti. Impresa non facile. E oggi ci sarà il primo banco di prova. Nell’aula di Montecitorio approda infatti la discussione sul decreto lavoro che rappresenta uno dei punti cardine delle riforme volute da Renzi. E il Nuovo centrodestra, ma anche Scelta Civica, promettono battaglia. Il testo del Jobs act, che è stato già modificato in commissione, è ancora bersaglio di critiche dentro e fuori la maggioranza. Il partito di Alfano (che in commissione non ha votato) e quello di Stefania Giannini (che si è astenuto) vedono nelle modifiche già introdotte un cedimento alle richieste dei sindacati. Per la sinistra del Pd, invece, si è fatto troppo poco. Il governo, insomma, dovrà difendere le modifiche introdotte e non è escluso che alla fine decida di blindare il provvedimento con il voto di fiducia, che la sinistra del Pd vorrebbe sul testo modificato in commissione. Rispetto al testo iniziale sono state introdotte importanti modifiche: i contratti a tempo determinato potranno essere prorogati al massimo 5 volte (8 nel testo originario) e potranno raggiungere il 20% rispetto al numero dei lavoratori a tempo indeterminato. La sanzione per chi non rispetta la regola è l’assunzione a tempo indeterminato. L’apprendistato pubblico diventa obbligatorio. Lo scontro tra i partiti riguarderà proprio queste modifiche, che raccolgono il plauso del presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd): «Il testo votato in commissione è un importante punto di equilibrio». Esattamente il contrario di quel che sostengono altri esponenti della maggioranza. «Gli ostacoli che vengono frapposti dall’interno del Pd costituiscono un grave errore e noi ci batteremo perché in aula venga ripristinato il testo originala» avverte Fabrizio Cicchitto. E Maurizio Sacconi è ancora più duro: «La commissione Lavoro ha ridotto del 50% la spinta propulsiva alla maggiore occupazione del decreto lavoro ed è necessario ridimensionare la sanzione nel caso di contratti a termine superiori al tetto del 20% degli occupati». A contestare l’introduzione di «eccessivi vincoli burocratici per le imprese» è anche il responsabile giustizia di Scelta Civica, Andrea Mazziotti, mentre Lara Comi (Fi) parla di una «ricetta sbagliata» e Daniela Santanché attacca i suoi ex compagni di partito: «Ricordiamo che questo è un governo di sinistra anche se Ncd fa tentativi disperati per mascherarlo». Frecce avvelenate sono partite ieri anche dal M5S e da Fi. I blog di Grillo e Renato Brunetta hanno preso spunto da un articolo dell’Economist molto critico con Renzi ma pubblicato il primo marzo, per andare all’attacco. «Renzi bluffa. Lo certifica l’Economist, che lo affetta» scrive Brunetta sul Mattinale. La replica del Pd è affidata ad Ernesto Carbone («Questi scienziati ci hanno messo due mesi a capire un articolo dell’Economist...») e Andrea Marcucci: «Segnalo un vibrante pezzo contro il governo Renzi uscito sulla stampa estera nel 2005 ...».

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