Sono pochi i temi che devono segnare un solco invalicabile tra centrodestra e centrosinistra. Le politiche in materia di lavoro sono tra queste.
La sinistra da una parte (quella del controllo dello Stato e dei sindacati) i liberali dall'altra (meno Stato, più libertà di impresa e di lavoro). Così sul fisco: la ricchezza e la proprietà privata (vedi le tasse sulla casa) beni del diavolo da tartassare per la sinistra, beni da difendere e proteggere come lievito del benessere generale per chi è di centrodestra. Su queste diversità si gioca la partita del consenso. È una partita che non ammette ambiguità, si deve stare con chiarezza da una parte o dall'altra. Chi sceglie la via mediana - un po' di qua è un po' di là - fa il male del Paese, avallando soluzioni intermedie che non servono a nessuno se non ad allungare la vita politica di chi le vara.
Sul tema del lavoro Renzi aveva speso molte parole, gradite anche in campo liberale. Il suo progetto di riforma non solo conteneva spunti per noi interessanti, ma per la prima volta sembrava scritto in autonomia dall'ala comunista della sinistra e dai sindacati. Ma ancora una volta l'uomo non è stato di parola. Al dunque ha fatto ancora una volta retromarcia correggendo il testo in modo da accontentare Vendola e la Cgil. Siamo alle solite: neppure Renzi è capace di riformare nei fatti quel mondo arcaico che è la sinistra italiana. Se la fa sotto, tanto da porre oggi la fiducia sulla legge del lavoro per evitare di cadere in Aula come una pera cotta.
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Camusso ordina, Renzi obbedisce. E obbedisce, e qui siamo tra il patetico e il ridicolo, pure il Nuovo centrodestra di Alfano, che dopo avere sbraitato si adegua e voterà sì come i soldatini stupidi. Col voto di oggi Alfano mette nelle mani della Cgil la sopravvivenza delle piccole e medie imprese per mantenere le sue modeste poltrone di governo.
Questa vicenda del lavoro, sommata alla truffa della nuova tassazione sulle rendite finanziarie, mette una pietra tombale sulla remota possibilità che Renzi potesse in qualche modo, prima o poi, diventare un punto di riferimento anche per noi liberali. Non è e non potrà essere l'uomo che si stava cercando per sostituire un domani Silvio Berlusconi. A lui, come ad Alfano, l'unico lavoro che interessa è quello del politicante, non avendo entrambi (e non è un caso che si siano alleati) mai lavorato un giorno in vita loro.