ROMA Decreto per liberalizzare Linate, collegamento dell’alta velocità fino a Fiumicino e, soprattutto, un fondo per gestire gli esuberi di Alitalia. Il governo lavora su tre fronti per mettere in discesa la difficile trattativa con Etihad. L’obiettivo è consentire al presidente Roberto Colaninno, che sarà accompagnato dall’ad Gabriele Del Torchio, di presentarsi lunedì 5 ad Abu Dhabi con delle risposte concreta, almeno per le questioni di competenza dell’esecutivo.
TEMPI STRETTI
Nelle ultime ore Palazzo Chigi si è reso conto che le due lettere ultimatum inviate dagli arabi nell’arco di 13 giorni vanno considerate con molta attenzione. E che senza risposte puntuali, messe nero su bianco, il rischio di un fallimento rovinoso è dietro l’angolo. Più vicino e concreto di quanto immagini lo stesso premier Matteo Renzi, che ieri ha fatto il punto con il ministro Maurizio Lupi. Il tempo stringe anche se al ministero dell’Economia giurano che il decreto per liberalizzare le rotte europee da Linate è in rampa di lancio, un provvedimento che va inquadrato nel più ampio progetto per aumentare il traffico aereo in vista dell’Expo. Più lungo invece il percorso per portare i binari dell’alta velocità a Fiumicino. «Un’operazione logica e che faremo» ha aggiunto Lupi, convinto di poter bruciare le tappe e non certo perché lo chiedono gli arabi.
Gli uomini di Etihad lo hanno invece espressamente ribadito nella lettera inviata l’altro ieri: lo Stato italiano, si legge a pagina 2, deve attivare un fondo ad hoc per gestire la mobilità dei dipendenti in esubero di Alitalia. Un fondo della durata triennale che va finanziato con non meno di 24 milioni di euro.
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Sul punto Lupi ha spiegato che «il fondo c’è già ed è stato prorogato fino al 2018, per cui non ci sono problemi». Il ministro è consapevole che la missione ad Abu Dhabi di Colaninno sarà probabilmente decisiva per le sorti della compagni. Oltre al governo, anche le banche devono muoversi ed il pressing crescerà da qui a lunedì. In attesa di novità, Colaninno illustrerà agli emiri il suo piano taglia costi. Piano che prevede la riduzione degli stipendi oltre 40 mila euro (da un minimo del 5% fino a un massimo del 20%), la cancellazione delle indennità, il blocco degli scatti di anzianità, il riproporzionamento delle ore part time. Si tratta di misure che dovrebbero consentire risparmi per complessivi 48 milioni. I sacrifici, comunque, sono stati accettati già da qualche mese anche dai dirigenti e dai naviganti con incarico a terra, che da marzo offrono un contributo solidaristico su base volontaria. Questi 48 milioni di ulteriori tagli al costo del lavoro (dopo gli 80 milioni dell'accordo per gli esuberi di febbraio) sono parte dei 150 milioni di risparmi che ancora mancano all'appello per raggiungere il target di 400 milioni l'anno (dai 300 milioni precedenti) del piano industriale. Al momento, ha spiegato ieri l'azienda, 250 milioni sono già stati implementati. L'impatto sarà per il 95% sul personale navigante e per il 5% sul personale di terra. I tagli previsti sono progressivi e sono commisurati alla seguente scalettatura: del 5% per gli stipendi tra 40 a 60 mila euro, del 10% per quelli tra 60 e 100 mila euro, del 15% per la fascia 100-200 mila euro e 20% per le retribuzioni superiori a 200 mila euro. Inoltre, sono in arrivo nuove misure di flessibilità sull’orario di lavoro (per esempio, lo spostamento di due riposi al mese nei periodi di alta stagione con recupero nei periodi di bassa stagione), l’intercambiabilità di alcune figure, una significativa riduzione del «tempo tuta» (attualmente fissato in 25 minuti) oltre a quello necessario a cambiarsi per prendere servizio. E ancora: riduzione del superminimo ex ristrutturazione (sul bilancio pesa per 40 milioni) e dimezzamento del pagamento delle ore di volo nell'alta fascia (quella con oltre 60 ore volate). Insomma, una cura lacrime e sangue, la stessa che pretese ma non ottenne Air France nel 2008, che però agli emiri potrebbe ancora non bastare.