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Pescara, 24/11/2024
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03/05/2014
Il Messaggero
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Alitalia-Etihad, ecco la newco che farà decollare l’alleanza nei cieli. Accordo fatto tra azionisti e banche: 51% a Cai, 49% agli arabi. Debiti, esuberi e vertenze legali finiranno in una bad company |
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ROMA La soluzione è arrivata in extremis e dopo che Intesa, nel summit di ieri con le altre banche, aveva bocciato le richieste di Etihad sulla ristrutturazione del debito, mettendo così seriamente a rischio, tanto per usare un eufemismo, la trattativa per arrivare al matrimonio con Alitalia. Matrimonio che invece resta miracolosamente in pista perché, sempre ieri in un successivo e acceso vertice tra i soci industriali e le stesse banche, è spuntata l’idea che ha messo tutti d’accordo. La creazione di una newco, 51% in mano a Cai e 49% in quota Etihad, che darà vita a quella che potremo chiamare Alihad. Si tratta, secondo lo schema che Il Messaggero può anticipare, di una nuova società in cui confluirà la parte sana del vettore tricolore: l’operatività in tutti suoi aspetti industriali (voli e slot) e i dipendenti necessari a far volare la compagnia nel numero indicato dagli arabi. Per dare sprint finanziario alla newco è in programma un sostanzioso aumento di capitale che sarà sostenuto, oltre cha da Etihad per circa 560 milioni di euro, anche dai soci italiani (200 milioni) che potranno così fare fronte anche alle maggiori perdite previste per il 2014. Nella bad company finiranno invece - in uno schema già utilizzato in passato proprio per Alitalia - la maggioranza dei debiti bancari, una buona fetta degli esuberi (3.000 mila dipendenti), i rischi finanziari legati ai contenziosi legali e fiscali aperti. Insomma, tutto il fardello del passato, con gli extra costi del personale considerato in esubero e il macigno del debito di cui Etihad, come ribadito nelle due lettere inviata ai vertici di Alitalia, non vuole più sentir parlare. I soci italiani e le banche azioniste si sono date tempo fino a lunedì per mettere tutto nero su bianco e consentire così a Gabriele Del Torchio e a Roberto Colaninno di volare lunedì ad Abu Dhabi con una proposta concreta che, è evidente, va proprio nella direzione di quanto chiesto dagli arabi con l’aut aut. TEMPI RAPIDI
La complessa operazione, che come detto richiama una delle tante scorciatoie imboccate nel passato per evitare il fallimento, ha comunque disinnescato la dura presa di posizione di Intesa che, come accennato, aveva rifiutato il piano taglia-debiti proposto da Etihad. Un no secco che nel pomeriggio di ieri aveva lasciato di sasso gli altri istituti di credito, riuniti ieri insieme all’ad Del Torchio per trovare una posizione comune in vista del viaggio ad Abu Dhabi. Disorientati anche i soci industriali, da Poste ad Atlantia: nessuno in verità si aspettava una frenata così forte. Poi in serata è arrivata la soluzione della newco che, salvo sorprese, prenderà corpo e sostanza in questo week end. A sostenerla sono stati soprattutto i soci industriali convinti, pur con sfumature diverse, della necessità di avere un fronte bancario unito per favorire l’intesa finale. Resta il nodo dei debiti che finiranno nelle «Bad Alitalia», che giocoforza le banche dovranno prima o poi affrontare. Il problema è stato quindi solo rinviato, probabilmente per non appesantire ulteriormente i bilanci. Non è mancato in queste ore il pressing di Palazzo Chigi che, mettendo sul piatto il decreto per la liberalizzazione di Linate e il Fondo per la mobilità dei dipendenti della compagnia, si aspetta, anche perchè ci ha messo la faccia, un lieto fine della vicenda quanto prima. Eppure sia Intesa Sanpaolo che il presidente Colaninno avevano messo in dubbio questa soluzione, evocando la possibilità di rimettere in gioco Air France e ribadendo che il piano industriale elaborato dall’amministratore delegato avrebbe potuto valorizzare fino a 2 miliardi Alitalia. Del resto, Colaninno non ha mai interrotto i contatti con Parigi. La rotta però adesso è un’altra. Con la corsa contro il tempo per mettere a punto l’operazione newco che Del Torchio e lo stesso Colaninno illustreranno nei dettagli lunedì 5 ad Abu Dhabi.
Debito. Il macigno da 2 miliardi che zavorra il volo degli italiani Ammonta a quasi 600 milioni la quota che si vorrebbe convertire o consolidareObiettivo prioritario: cancellare tutti gli impegni a breve verso gli istituti IL NODO ROMA Circa 2 miliardi di euro. Forse anche qualcosa di più se si considerano gli ultimi tre mesi del 2013 sui quali mancano ancora numeri ufficiali. L’ultima fotografia aggiornata sul fardello del debito fornita dalla stessa Alitalia non è poi così lontana, ormai, dall’allarme lanciato a novembre 2008 da Augusto Fantozzi, l’ultimo commissario straordinario che ha conosciuto la compagnia di bandiera prima dell’operazione Cai-AirOne. Certo, oggi si parla di una società diversa, passata da una faticosa ristrutturazione e diversi piani industriali messi sul tavolo in cinque anni, anche con rotte profondamente diverse. Ma fa un po’ impressione trovarsi come allora di fronte a un debito che si aggira intorno a 2 miliardi di euro. L’ETERNA MINACCIA
Già, perchè è bene ricordarlo, quando un partner potenziale come Etihad va a guardare i conti del gruppo, mette subito la lente sull’indebitamento finanziario, quello verso le banche, ma il conto dei debito in realtà non si chiude affatto qui. Visto che ai 951 milioni di posizione finanziaria netta negativa fotografata a fine ottobre del 2013, vanno aggiunti almeno 165 milioni di nuovi finanziamenti arrivati dalle banche a gennaio scorso. Ma vanno anche sommati ben 785 milioni di debiti verso i fornitori per avere la situazione completa del debito della compagnia. Chiariti questi numeri, va anche detto che è su quel miliardo scarso di saldo negativo tra debiti e crediti finanziari del gruppo (951 milioni di euro appunto) principalmente per finanziare gli investimenti nella flotta di proprietà (600 milioni) che si concentrano tutte le preoccupazioni. Vediamo in dettaglio perché. Da questa cifra in realtà andrebbero già stornati 97 milioni di euro, che corrispondono al prestito obbligazionario ormai convertito a fine anno in occasione dell’aumento di capitale. Poi ci sono i debiti verso altri finanziatori, come le società di factoring. E tolti i crediti finanziari e le disponibilità liquide (per 161 milioni) rimangono dunque 813 milioni di debiti verso banche. IL FILO CON LE BANCHE
Qui si arriva al punto cruciale delle richieste avanzate da Etihad. Metà di questi debiti, circa 400 milioni, sono rappresentati da finanziamenti a breve. Un conto rotondo di impegni che la compagnia di Abu Dhabi chiede di convertire in equity insieme ai nuovi finanziamenti di gennaio scorso (70 milioni arrivati da Intesa Sanpaolo, 70 milioni da Unicredit e 25 milioni da Popolare di Sondrio e Mps). La cifra nel mirino degli emirati arabi sale dunque almeno a 565 milioni di euro, di cui poco più della metà (circa 300 milioni) pesano sui bilanci di Intesa Sanpaolo. Naturale che sia la banca guidata da Carlo Messina a guardare con maggior attenzione il dossier. Da parte sua, Unicredit ha un conto aperto più esiguo con Alitalia. Senza contare che dopo aver messo in fila 9,3 miliardi di rettifiche di valore e 7,2 miliardi di accantonamenti su crediti straordinari nell’ultimo trimestre del 2013, deve aver messo in conto anche una perdita secca sulla compagnia aerea. Il dossier rimane comunque di quelli caldissimi per le banche. Non solo perché le perdite del conto Alitalia nei bilanci degli istituti vengono da lontano. Ma anche perché sembra che uno dei paletti fissati da Etihad sia di fatto l’azzeramento del debito attraverso lo stralcio del resto dei debiti a breve non oggetto di conversione. Un boccone non facile da digerire per le banche che ieri hanno discusso a lungo anche di questo nell’incontro con il numero uno della compagnia Gabriele Del Torchio. Per il resto, Abu Dhabi punta su un fondo ad hoc da 24 milioni per gestire la mobilità dei dipendenti Alitalia in esubero (non meno di 3.000 per Etihad). Ma esclude anche di farsi carico di qualsiasi minaccia dal passato. Compresi i contenziosi con Toto per Airone o con Easyjet.
I sindacati: basta tagli del personale No a nuovi tagli senza certezze sul futuro industriale di Alitalia. È la posizione riaffermata ieri dalla Filt-Cgil nel corso dell'incontro tecnico con l'azienda incentrato sul costo del lavoro. La Filt-Cgil, nel sottolineare la grande preoccupazione per lo stato aziendale e la centralità dell'accordo raggiunto nel febbraio 2014 , ha ribadito, come del resto già avvenuto nelle ultime riunioni, «la disponibilità a ragionare su un sistema di regole che ha come fondamento il contratto nazionale di lavoro, nonché a discutere di assunti di piano, confermando altresì l'indisponibilità a negoziare ulteriori tagli al costo del lavoro senza avere certezze sul futuro industriale dell'azienda e sul contesto normativo del settore». Sulla stessa linea nche la Cisl e la Uil che a loro volta chiedono al governo di vigilare.
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