ROMA Un’altra giornata a palazzo Chigi, prima assistere alla finale di coppa Italia tra la sua Fiorentina e il Napoli. Un’altra giornata a sentire i sindacati, Susanna Camusso in testa, sparare sul decreto lavoro. Matteo Renzi però è descritto «molto tranquillo». «Decisamente convinto» che dopo le elezioni del 25 maggio avrà più forza per far arrivare in porto le riforme. «Sono pronto a scommettere che il Pd sarà il primo partito e che crescerà di molto. Dopo sarà ancora più difficile fermarci: le riforme si faranno, il treno del cambiamento non verrà bloccato», ha confidato il premier. Che non a caso nei prossimi giorni sarà in campo, in lungo e in largo per l’Italia, per sostenere la campagna elettorale del Pd e, di riflesso, il suo governo.
LA MINACCIA
Tra vedere e non vedere, e per non privarsi di un utile arma di pressione, Renzi non scarta però l’ipotesi delle elezioni in autunno se «la palude» e i «frenatori» dovessero prendere il sopravvento. «La ragione sociale del mio governo è il cambiamento, se il cambiamento dovesse essere negato, se le resistenze dovessero rivelarsi insormontabili, non avrebbe senso proseguire. Dunque, avanti un altro...», è il ragionamento del premier. Oppure, cosa molto più probabile, avanti sparati alle elezioni per provare a incassare quella legittimazione popolare che finora è mancata. Una minaccia che vale anche per Silvio Berlusconi: il premier non teme che l’ex Cavaliere farà saltare tutto se Forza Italia dovesse precipitare alle europee. E non lo teme «perché in quel caso sarei io a portarlo dritto alle urne».
Da qui l’intenzione di Renzi di chiudere la partita della legge elettorale prima della pausa estiva. Prima della fine di luglio. «Ma in questo caso», dice uno stretto collaboratore del premier, «bisognerà fare anche la legge elettorale per il Senato, visto che se saltasse tutto, salterebbe anche l’abolizione di palazzo Madama». Uno scenario da fine del mondo che Renzi prende in considerazione a malincuore. Anzi, preferisce lasciare sullo sfondo, convinto com’è che dal voto europeo riceverà la spinta e la forza necessarie per «battere la palude».
Proprio per questo, all’appuntamento elettorale il premier vuole arrivare con il carniere quanto più possibile pieno. Così, prima del 25 maggio, Renzi intende portare a casa il decreto lavoro, bersagliato da Cgil, Cisl e Uil, procedendo a colpi di fiducia se necessario. Ed è determinato a incassare almeno il sì della Commissione affari istituzionali del Senato alla riforma costituzionale. «Ci sono le condizioni per mettere nero su bianco un testo base e per chiudere prima del 25 maggio», garantisce Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd e plenipotenziario del premier sul fronte caldo delle riforme.
A infastidire il premier è il fuoco di fila dei sindacati contro il decreto Poletti. Renzi infatti è convinto che le attuali regole del mercato del lavoro non hanno portato maggiore occupazione, «anzi l’hanno ridotta». E quindi ritiene «assurda» l’opposizione di Cgil, Cisl e Uil. Da qui la probabile assenza al congresso del sindacato rosso la settimana entrante a Rimini.
Ma nella strategia del premier e segretario del Pd non c’è la ricerca dello scontro con le sigle sindacali. La prova arriva da Filippo Taddei, responsabile economico di via del Nazareno: «Il dibattito sul decreto Poletti è sopravvalutato. Tra noi e il sindacato c’è una convergenza sostanziale, non a caso l’atto più importante del governo è stato il taglio dell’Irpef: la più massiccia redistribuzione a favore del mondo del lavoro degli ultimi anni. E convergere tutte le risorse sul taglio del cuneo fiscale, non è stata una scelta banale e neppure neutra».
I famosi 80 euro in più in busta paga per i lavoratori con redditi più bassi sono anche il bersaglio di Silvio Berlusconi, che parla di «mancia elettorale» pagata con «un aumento delle tasse». E il fatto che l’attenzione degli avversari si appunti proprio sulla sforbiciata dell’Irpef, per Renzi è la conferma di avere fatto la «cosa giusta». Utile per tentare di dare una spinta ai consumi e alla ripresa economica. Utilissima per vincere la scommessa, quella di Pd primo partito alle elezioni di fine mese.