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Data: 16/05/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Genovese, l’aula dice sì all’arresto, lui si costituisce Scontro Pd-M5S. Renzi: nessuno sconto, la legge è uguale per tutti. Lo sfogo davanti al carcere: «Ora mi molla ma prima Matteo i miei voti se li è presi»

ROMA Escono alla spicciolata, mogi e taciturni, non ridono, non parlano, non commentano. Un silenzio glaciale accoglie i risultati del voto in aula, neanche i Cinquestelle se la sentono di applaudire. Non è stato facile votare per l’arresto di un collega, per tanti un amico, e per di più a scrutinio palese, una prima volta assoluta. Ma tant’è. C’è la campagna elettorale, ci sono i grillini che incalzano, una certa opinione pubblica che dove legge parlamentare associa subito «in galera», sicché Francantonio Genovese, deputato Pd imputato di associazione a delinquere, riciclaggio e peculato, è finito in manette, associato al carcere di Gazzi in quel di Messina, la sua città. Non c’è più l’onorevole Genovese, ora c’è il recluso G. Sono le 18,12 del 15 maggio, quando si accende il tabellone rosso delle votazioni. In 371 dicono sì alle manette, solo 39 per il no. A favore dell’arresto, la parte politica di Genovese: Pd, Sel, Scelta civica, assieme ai grillini; contro FI, Ncd, più sei striminziti sei deputati dem guidati da Beppe Fioroni, amico personale e di corrente di Francantonio.
«La legge è uguale per tutti, e il Pd la applica sempre, anche se si tratta di propri deputati», dichiara Matteo Renzi ancora a botta calda. «Noi sempre garantisti abbiamo votato per il no», fa eco contraria Silvio Berlusconi. «Ora il deputato può essere arrestato, li mandiamo a casa uno a uno», maramaldeggia Beppe Grillo. I suoi a Montecitorio, però, la prendono alla leggera: su 104 deputati, si presentano al voto solo in 73, al 70 per cento. «Urlano, gridano, ma al dunque non ci sono», puntano il dito quelli del Pd che risulta il gruppo più presente con l’84 per cento (247 su 293); Fi al 31 per cento, Ncd al 32.
LE POLEMICHE

Come si è arrivati alla condanna in aula, dopo che tutto sembrava congiurare per un rinvio a dopo le elezioni? La svolta si è avuta in mattinata, quanto il capogruppo forzista Renato Brunetta annuncia a sorpresa che non chiederà il voto segreto. A quel punto cambia tutto: senza voto segreto non reggeva più la tesi che i Cinquestelle ne avrebbero approfittato per fare giochetti (tipo votare contro l’arresto per poi incolpare il Pd); né reggeva più la tesi che bisognava approvare provvedimenti più importanti come quello sul lavoro o la casa, bastava non invertire l’ordine dei lavori, insomma non c’era più motivo per rinviare. E così è stato. Lo scontro era già scoppiato in conferenza dei capigruppo, con i pentastellati a incalzare la presidente Boldrini, «non deve far votare noi, la decisione spetta a lei», avevano intimato. Dalle ovattate stanze della presidenza, lo scontro si sposta in aula. I cinquestelle al solito attaccano il Pd, «siete come la mafia, altro che Falcone e Borsellino»; replica istituzionale di Rosy Bindi, «Falcone e Borsellino sono di tutti». Replica battagliera di Anna Rossomando, rilanciata da Renzi su Twitter: «Non accettiamo lezioni da chi è andato in Sicilia a dire che la mafia non esiste». E ogni riferimento a Grillo è cercato e voluto.

Lo sfogo davanti al carcere: «Ora mi molla ma prima Matteo i miei voti se li è presi»

ROMA A Dubai, come il suo amico Matacena? A Beirut, come Dell’Utri? A Regina Coeli, come Scajola? No: Gazzi, così si chiama il carcere di Messina. Entrando nel penitenziario della sua città di cui è stato a lungo padrone economico e politico, Francantonio Genovese - arrivato laggiù subito dopo aver capito che nel voto in aula a Montecitorio era spacciato e dopo che Renzi aveva ordinato al capogruppo democrat Speranza: «Si vota subito, il voto deve essere palese e non possiamo perdere la faccia in questa vicenda» - sembra una sorta di piccolo Andreotti o un Cuffaro di un’altra Sicilia, la Sicilia «babba» e non la Sicilia «sperta» che è quella occidentale e palermitana, e dice ai suoi sodali che assistono ad un remake isolano della «Caduta degli Dei»: «Aspetto di poter dimostrare la mia innocenza. Non fuggo dai processi».
Ecco, Francantonio Genovese, padrone nel Pd siciliano di cui è stato segretario regionale, uomo politico ma soprattutto ricco imprenditore gonfio di conflitti d’interesse quando faceva il sindaco e somigliante a una specie di piccolo Berlusconi anche se Silvio ha studiato dai salesiani e lui dai gesuiti e gesuita nei modi è restato, ha ereditato e incrementato il pacchetto di consensi - oltre ventimila: il più votato d’Italia nelle primarie dei democrat - dallo zio democristiano Gullotti e lo ha messo a disposizione del partito-autobus su cui ha scelto di salire fin dalla sua fondazione. Dice infatti nella polvere dove da intoccabile pensava di non dovere sprofondare mai e da cui è convinto di poter risorgere confidando religiosamente nell’eternità del potere: «A Bersani e Renzi i miei voti hanno fatto comodo. Se li sono presi tutti. E ora il segretario del Pd mi sacrifica per paura di perdere consensi in Sicilia, per salvarsi dall’avanzata dei 5 Stelle». Ma di politica uno come lui, per il quale la politica è la continuazione ma non la sublimazione della ricchezza e del potere, non vuole parlare mentre si avvia dalla mega villa davanti al mare splendido di Ganzirri, dove è stata fino a pochi mesi fa agli arresti domiciliari la moglie, verso il carcere di Gazzi nel quale pensa di stare poco. Ai figli, salutandoli prima di costituirsi nel penitenziario, ha detto: «Voi pregate per me, io prego per voi». Anche perchè uno di loro sta studiando per gli esami di maturità, e in questi giorni di pianto discreto - il suo amico Beppe Fioroni assicura: «Francantonio è uno tosto. E non ha mai girato tra i colleghi dicendo: «Vi prego salvatemi» - pareva che il cruccio fosse più il diploma del figliolo che la propria carriera politica distrutta per sempre. Come capita ai potenti in odore di disfatta, anche nei confronti di Genovese nella sua città - mentre la attraversa tutta per recarsi dal villone di Ganzirri all’inferno del carcere di Gazzi - si respira un’aria di liberazione in alcuni e di scaricamento da parte dei più che già lo percepivano in declino e il naso dei meridionali, ma anche quello degli altri, le parabole discendenti le sanno annusare bene e con buon anticipo.
IL DIVANETTO
Lui al mattino, seduto su un divano nel Transatlantico di Montecitorio, solo nella sua solitudine, e fedele alla dissimulazione che ha imparato alla scuola dei padri che si ispirano a Sant’Ignazio di Loyola, ostentava tranquillità, perfino con una punta di ironia non tipica del personaggio: «Ora vado a fare un biglietto per Beirut». Non scappa sulle navi della società Caronte, di cui per via familiare è socio e un tempo lo erano anche i Matacena dall’altra parte dello Stretto - Reggio Calabria - ma ora la storia degli altri è finita a Dubai? «No, non mi imbarco su un traghetto per il Libano - dice Genovese - perchè mi rintraccerebbero, arriva la marina militare e mi bombarda. E forse, mandano anche l’aeronautica». Poi però, ora dopo ora, capisce quale sarà l’epilogo. Vede che il Pd è gesuita quanto lui (cioè pratica la religione del realismo) e che bada alla ragion di partito e che trema per i sondaggi assai negativi in Sicilia e che calcola di perdere meno se i voti di Francantonio vanno al Ncd (che li corteggia) di quanto perderebbe a venire indicato dai 5 Stelle come forza corrotta, e allora le tiepide speranze del ras siciliano si raffreddano. E lui decide di partire per Messina. Dove, però, Gazzi non è Ganzirri.

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