L’annuncio che il Consiglio dei ministri ha deliberato la cessione di azioni di Poste ed Enav impone una riflessione sul senso da dare a questa operazione e alle altre simili che seguiranno. Sembra limitativo considerale solo come un mezzo per ridurre lo spaventoso debito pubblico. Tanto più tenendo presente che i 5/6 miliardi che si presume di ricavare dalla vendita sono solo una goccia in mare gigantesco. Come lo è quello 0,7% del Pil derivante da privatizzazioni di qui al 2017 previsto dal ministro Padoan. Possono, invece, essere viste come un primo passo verso un ulteriore riconsiderazione del ruolo dello Stato e degli enti pubblici locali come imprenditori. Qui la storia può dirci molto. Le imprese pubbliche in Italia sono prevalentemente nate negli anni '30 per salvarle dall’infame connubio (non era chiaro se erano gli istituti di credito a controllare le aziende o il contrario) in cui erano precipitate. C’è, poi, stato il periodo dal dopoguerra alla metà degli anni '70 in cui le imprese pubbliche, in particolare Iri ed Eni, sono state un fattore di grandissimo rilievo nello sviluppo. Dopo di che il graduale deterioramento di una classe politica sempre più orientata a raccogliere voti nelle prossime elezioni, ha spesso, per fortuna non sempre, indotto a scegliere la dirigenza sulla base dei favori già fatti o in cui si poteva sperare: dall’assunzione del personale, alla localizzazione di un impianto, al finanziamento di iniziative di partito. Ne sono derivati un indebolimento di molte imprese pubbliche e il venir meno del loro ruolo di avanguardia. Di qui la grande ondata delle privatizzazioni. Spesso fatte, si pensi per tutte al caso Telecom, senza introdurre regole che impedissero il verificarsi degli aspetti peggiori del capitalismo come acquisizioni fatte con debiti che poi vengono messi a carico della società acquisita o riduzione degli investimenti e delle spese di ricerca nell'affannosa ricerca di profitti a breve termine. In altri casi la privatizzazione è stata incompleta, il potere pubblico ha mantenuto il controllo e la quotazione sul mercato con l’esigenza di attenzione ai profitti ha evitato il peggio. Per il momento le privatizzazioni di Poste ed Enav sono solo parziali e, di conseguenza, si ignora se negli statuti saranno introdotte norme che evitino gli eccessi di cui sopra. È stato reso noto che almeno nel caso di Poste sarà facilitato l’acquisto delle azioni da parte dei dipendenti e che si punterà alla «stabilità dell’assetto proprietario», ma non si chiarisce come tale obiettivo sarà raggiunto. Il fissare, come avviene in altri Paesi europei, diritti di voto molto più consistenti per chi si impegna a detenere le azioni per un lungo periodo potrebbe essere un buon passo in questa direzione. Come lo sarebbe prevedere un sistema duale alla tedesca con rappresentanza dei dipendenti. In breve queste piccole privatizzazioni possono rappresentare un primo passo verso un mutamento del nostro sistema verso la formazione di vere public companies evitando di farle cadere sotto il dominio di quei mercati finanziari per i quali un trimestre è già un lungo periodo.