FIRENZE Tutto è cominciato da qui. Tutto ricomincia da qui. Firenze. Culla del renzismo. Trampolino, se le elezioni vanno bene per il Pd, del renzismo 2.0. Quello della fase seconda, consacrata dal successo nelle urne, che per Matteo significa più legittimazione come premier e più forza come leader.
«Non lasceremo l'Italia nelle mani di chi vuole distruggerla!», ecco il grido finale della campagna elettorale di Renzi. Piazza della Signoria resta il brodo primordiale del premier. Il suo ombelico del mondo. Da qui si riparte. Grillo è l'avversario da battere. Il convitato di pietra di ogni sillaba di Matteo, che a Firenze è commosso, è tornato a casa e gli amici lo prendono in giro per il «nostos» (il ritorno alla Ulisse).
LA BELLEZZA
E ancora: «Noi siamo la cultura, lui è l'odio. Noi la bellezza del Paese, che in nome di Leonardo e di Michelangelo vogliamo fare rinascere, mentre c'é chi vuole distruggerere tutto». «Il nostro vantaggio su Grillo é consistente. I giochi sono quasi fatti, ma serve un ultimo sforzo», dice Renzi salendo sul palco collocato nello stesso angolo della piazza in cui parlò Enrico Berlinguer e, prima di Matteo, il segretario del Pci è stato l'ultimo leader a fare un comizio in questo luogo.
LE DUE PARTITE
Qui si giocano due partite. C'é anche quella per il sindaco di Firenze e il renzismo deve mostrare la sua geometrica potenza anzitutto in casa propria. Anche se il voto «non è un referendum sull’esecutivo», si tratta di «prendere i voti del centrodestra». «Vinco al primo turno o al secondo? Tutti i turni mi vanno bene», osserva Dario Nardella, super-renziano e probabile successore di Matteo a Palazzo Vecchio. Spiega Nardella: «Tutto é cominciato a Firenze e questo tempo ci invita a non fermare il cambiamento che corre sull'asse Roma-Firenze».
É il tragitto percorso ieri da Renzi. Con sosta a Prato. Dove parla in toscano ma é in italiano che scandisce la frase clou, che riassume la sua campagna elettorale e va a incidere, nelle intenzioni del premier, nell'elettorato di destra, di sinistra, grillino, berlusconiano, scettico e trasversale: «É la prima volta che un governo restituisce dei soldi ai cittadini. Chiamateli pure elemosina gli ottanta euro, noi li chiamiamo giustizia sociale». Poi: «L'Italia si salva solo con l'abbattimento delle tasse». In piazza tante bandiere tricolore. «Noi vogliamo bene l'Italia. Noi cantiamo tutti insieme l'inno d'Italia. Grillo dice invece di infischiarsene. Ma un politico può parlare così?». Intanto il rush finale ieri é cominciato con la conferenza stampa a Palazzo Chigi con un diluvio di slide.
LA FORZA
La forza della concretezza degli atti di governo come, sperabile, doping elettorale. «Non si vince con le minacce e la paura», è il grido renziano per fermare Grillo. Che egli fa mostra di non temere, ma il fiato di Beppe sul collo lo sente eccome. «Pensava di essere il padrone delle piazze, gli abbiamo dimostrato che le piazze sono di tutti e le nostre sono stracolme».
Questa piazza é diversa dalla piazza tradizionale modello Pci e succedanei. No truppe cammellate. No Cgil a cui Renzi fa i dispetti. Questa piazza é la rottamazione della solita piazza. E c'é questa piazza ma anche quella, invisibile e trasversale, del voto random, anche ex berlusconiano, di gente che in piazza non va e Renzi vuole raggiungerla finalmente. Le «lezioncine europee non le vogliamo più». «Noi vogliamo rendere umana l'Europa». «Noi vogliamo così bene all'Europa che pretendiamo di cambiarla non sbattendo i pugno ma affermando le nostre idee».
E l'Italia? Il derby con piazza San Giovanni, a Roma, Renzi lo gioca così. «Quella piazza é un jukebox dell'odio,questa é un laboratorio di futuro». Colpo su colpo allo «sfascista» Beppe. «Noi siamo la mite forza di chi vuole cambiare l'Italia!». Tutto il resto, direbbe Califano, é noia. Renzi dice invece che é grillismo. Rottamerà anche quello?