PESCARA Un tragico gioco che ha gettato nella disperazione una famiglia e una comunità. Lo stridore dei freni sull’acciaio e l’urlo della sirena del treno hanno coperto quello di un bimbo di tre anni: la gigantesca macchina di ferro l’ha risucchiato e sbalzato lontano, cancellando in un attimo una vita. È accaduto ieri nel tardo pomeriggio a Pescara. Un sabato di primavera che ha i colori cupi e raggelanti della tragedia. Sui binari sta marciando il treno regionale Pescara-Termoli, e transita all’altezza della stazione San Marco, nei pressi del tribunale, dove il tracciato scorre sopraelevato a ridosso delle case del quartiere San Donato, senza barriere, senza recinzioni. Il convoglio marcia verso l’appuntamento con la morte di un bambino rom, tre anni appena. Sta giocando con un amichetto, non si sa perché i due decidono a un certo punto di salire su quella piccola collinetta, dove non dovrebbero andare per nessun motivo. La sagoma bianca,verde e azzurra del mostro di metallo si materializza all’improvviso, quando è troppo tardi per avere una reazione rapida, o una qualsiasi reazione. È un attimo. Il furore diabolico della massa e della velocità risucchia i due innocenti. Per uno cala il buio, per sempre; per l’altro solo ferite nella carne che non sono nulla rispetto a quelle dell’animo che si porterà dietro per tutta la vita. Il treno si ferma, dai finestrini si affacciano i passeggeri che non hanno ancora ben compreso quel che è accaduto, ma probabilmente i macchinisti hanno fatto in tempo a scorgere quel fagottino colorato che poi spariva alla vista, senza avere nessuna possibilità di far cambiare strada al treno e al destino. Dabbasso arrivano le urla delle prime persone che si accorgono dell’accaduto, e poi quelle laceranti dei familiari, dei parenti, di quanti conoscevano un bambino che non c’è più. In quel momento non c’è neppure la madre. La zona viene immediatamente circoscritta, vengono stesi i nastri di plastica per impedire di avvicinarsi, i soccorritori recuperavano quel povero corpicino, coperto da un pietoso lenzuolo. Poi solo burocrazia, affogata nel mare del dolore. La Polfer diretta da Davide Zaccone ha cercato di ricostruire l’accaduto, ascoltando in particolare i ferrovieri. Gli inquirenti cercheranno adesso di sapere perché quel bambino e il fratello di poco più grande fossero da soli, perché nessuno li tenesse d’occhio, e perché a un tratto si sono arrampicati su quel maledetto terrapieno sormontato da binari e traversine. Le eventuali responsabilità danno risposte ai fatti, ma non spiegano niente altro. Non possono.