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Data: 26/05/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Renzi travolge Grillo: più 20%. Elezioni europee, al via lo spoglio nella notte. Storico exploit dem: nelle proiezioni oltre il 41%, M5S meno del 22Forza Italia si ferma al 16%, ben sotto la soglia del 20 indicata da Berlusconi

ROMA A urne ancora calde e a spoglio in corso, le elezioni europee hanno un trionfatore: Matteo Renzi. E uno sconfitto: Beppe Grillo. Il premier, lo sfidato, ha stracciato ogni record. In base alle proiezioni Ipr per la Rai il Pd avrebbe incassato il 41.5%: oltre 8 punti in più di quel 33.4% fatto segnare da Walter Veltroni nel 2008. Non solo, rispetto agli altri Paesi europei, Renzi può vantare anche il record del partito di governo più in crescita e in migliore salute. Solo la Dc del Dopoguerra superava il 40% dei voti.
Grillo, che perfino al seggio ieri aveva detto che il suo obiettivo «è fare qualcosina in più del Pd», esce invece a pezzi. Aveva il 25,6% un anno fa, ora si fermerebbe al 21.5, oltre venti punti sotto a quel Pd che voleva superare. Una sorta di plebiscito per Renzi e una sonora stroncatura per il comico genovese che, comunque, si attesta al secondo posto. Staccato di 25 punti dalla vetta (un’enormità) si sarebbe piazzato Silvio Berlusconi che per la prima volta, in vent’anni, aveva atteso il risultato senza coltivare alcuna speranza di vittoria.
Se i dati verranno confermati, per Renzi e il suo governo, per il Pd, è un vero trionfo. «Un risultato storico». Il premier puntava al sorpasso ai danni dei Cinquestelle rispetto alle politiche 2013 (erano 25,4% a 25,5%). Ma venti punti di distacco sono molto di più di un sorpasso. Sono per Renzi «qualcosa da non credere» e per Grillo una sconfitta clamorosa. Segno che i toni del leader Cinquestelle hanno spinto parte dell’elettorato moderato a scegliere Renzi, considerato come un argine al “pericolo Grillo”. I democrat inoltre dovrebbero portare nell’Europarlamento più deputati (31) di quanti ne porteranno gli altri partiti collegati al Pse. E questo dovrebbe dare al premier un buon margine di manovra sia nella partita per la Commissione (anche se a prevalere sembrano essere stati i popolari del Ppe), sia per ammorbidire il rigore caro alla Germania.
Il trionfo di Renzi, per come Grillo ha giocato la campagna elettorale, è una debacle clamorosa per i Cinquestelle. Senza contare che il 21.5% conseguito dal comico genovese (se confermato) in termini assoluti rappresenta, a causa dell’astensione, anche un fortissimo calo del numero dei suoi elettori: circa 2 milioni di voti in meno. Tuttavia c’è da osservare, dopo i risultati incerti alle elezioni amministrative del 2013, che i Cinquestelle si dimostrano un partito abbastanza solido. Non un semplice fuoco di paglia.
DESTRA IN CRISI
Il dato di Forza Italia, pari al 16.5%, è devastante se si guardano le elezioni europee del 2009, quando Berlusconi incassò il 35,3%. Ma rispetto a un anno fa, quando il Pdl tutto insieme prese il 21,6%, l’ex Cavaliere sarebbe riuscito a limitare almeno in parte i danni, nonostante non si sia potuto candidare a causa della condanna definitiva.
I primi risultati non fanno luce invece sulla performance del Nuovo centrodestra. Il partito di Angelino Alfano è dato al 4.3%. Se il dato dovesse essere confermato, se il Ncd riuscirà a superare la soglia di sbarramento, Alfano potrà parlare di buon risultato. Sotto, sarebbe un brutto colpo. Lo stesso discorso vale per i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, attestati al 3.4%, lo 0.6% sotto la soglia della sopravvivenza. La sinistra incarnata dalla Lista Tsipras, dopo anni di sconfitte secche, annusa invece una buona affermazione. Le proiezioni la danno intorno alla soglia del 4%. Comunque al di sotto della somma dei voti incassati da Sel (3.2%) e da Rivoluzione civile (3.3%) un anno fa.
Buona invece l’affermazione della Lega. La nuova leadership di Matteo Salvini e la linea anti-europea sembrano aver dato nuovo slancio ai lumbard che avrebbero incassato il 6.0%, due punti in più rispetto a un anno fa. Ma ben al di sotto di quel 10,2% preso alle europee del 2009. Non pervenuta, o quasi, Italia dei Valori. Impietosi i dati che accompagnano Scelta Europea. Lo schieramento di Mario Monti & C. che alle elezioni dello scorso anno aveva preso il 9.9%, si sarebbe fermato a quota 0.7%. Oggettivamente un risultato disastroso e una certificazione di morte.
I primi dati divisi per aree geografiche, danno ulteriori spunti di riflessione. Il Pd va fortissimo al Centro (49.1%) e va forte al Nord-Est (42.2), ma brilla meno al Sud (35.8). Esattamente speculare l’andamento dei Cinquestelle: Grillo incassa più voti al Sud (25.7), ma si ferma intorno al 20% nel Nord-Est, Nord-Ovest (19.6) e al Centro (21.4). Il Sud è anche il serbatoio di voti di Forza Italia (21.2) e del Ncd (6.0) che però non va oltre al 3% nel Nord.

Matteo frantuma tutti i record

ROMA Oltre la soglia psicologica del 35 per cento. Molto oltre. La sinistra modello Renzi, la sua post-sinistra trasversale e oltrista (oltre ogni steccato, oltre ogni riflesso condizionato come quello della subalternità al pansindacalismo e del complesso dei migliori, anche se pochi) sfonda la barriera più alta che era quella raggiunta da Enrico Berlinguer. Il quale non a caso è stato una figura centrale di questa campagna elettorale, nei richiami di Renzi ma soprattutto di Grillo che ha cercato di utilizzare il santino Enrico contro il «traditore» Matteo. E la soglia del 35 ora frantumata, e portata oltre il 40 con un successo storico, spinge il nuovo Pd a superare quello originario di Walter Veltroni, che nel 2008 arrivò al 33,4. Soltanto negli anni dell’apogeo del centrismo, alle elezioni del ’58, un partito ebbe un risultato così forte: il 42,3 per cento. E quel partito era la Dc di Amintore Fanfani. Per cui subito, in queste ore, stanno cominciando a fioccare i paragoni tra i democrat e la Balena Bianca ma anche questi sono, più che altro, riflessi condizionati del passato.
Che cosa è accaduto in realtà? E’ successo che la sinistra post-sinistra ha liberato se stessa, riuscendo ad andare oltre se stessa fino a prendersi perfino - e pareva incredibile fino a poche ore fa - i voti dell’elettorato berlusconiano e di quello generalmente moderato. Elettorati rivelatisi sensibili per esempio - e qui c’è la post-sinistra a vocazione maggioritaria - alla politica di Renzi non più succube della Cgil («E’ contro di noi? Ce ne faremo una ragione») e non più impaurita nello sfidare conservatorismi interni e tran tran italici.
LA PALUDE

Come quello - denominato «la palude romana» - rappresentato dalla pubblica amministrazione restia a riformare se stessa e frenatrice rispetto alle riforme generali in nome di privilegi che parevano intoccabili e invece non lo sono diventati più. Un elettorato sparso, sensibile a sfide di questo tipo e non più alle prese per esempio con il classico schema del leader di sinistra che mostrifica il Cavaliere Nero (anzi, fa con lui un patto sulle riforme), si è concentrato sul Pd dandogli quella vocazione maggioritaria sfiorata da Veltroni e facendo segnare una novità storica nella vicenda politica italiana.
Una costante nazionale è stata quella della non mobilità da destra a sinistra, o viceversa, dei voti e quella della separatezza assoluta tra i due bacini elettorali. Stavolta, per la prima volta, Renzi si va a prendere i voti degli altri. E questa non dovrebbe essere una sorpresa, anche se l’esito non era scontato, perchè dalla sfida nelle primarie con Pierluigi Bersani fino a quella successiva con Cuperlo e con gli altri, Renzi ha sempre ripetuto: «Non demonizzo chi vota per Berlusconi e per la Lega, non ho alcuna atteggiamento snobistico verso chi vota per il centrodestra. Anzi, io voglio parlare anche a loro». La vittoria di Renzi è dunque la vittoria della strategia random della ricerca dei voti, della rottura delle appartenenze elettorali. Bastava del resto, per accorgersi di questa possibile novità, la piazza di Firenze per la chiusura della campagna elettorale con comizio del segretario. Nessuna truppa cammellata. Totale assenza dell’apparato che porta gente e la controlla. Cgil? Zero. Pantere grigie? Stavolta prevale la mezza età e i giovani. Una piazza che è il volto di un partito che - ma la strada perchè arrivi a compimento questa spinta è lunga ancora - cerca nuove rappresentazioni e nuove rappresentanze.
VOTO UTILE

Questo Pd ha catalizzato tutto il voto utile anti-Grillo, ma anche molti di coloro che sono disinteressati o stanchi dei vecchi riti e delle vecchie chiusure di una cultura politica, la sinistra come è sempre stata, che non ha saputo parlare a chi sta fuori di propri recinti. Renzi ha parlato dalla vittoria delle primarie in poi, e anche prima, come Blair quando diceva: «Adoro tutte le tradizioni del mio partito, eccetto una: quella di perdere le elezioni». Niente nannimorettismo, niente sconfittismo, niente pessimismo. «C’è una parte della sinistra - ecco la chiave culturale che ha aperto le porte a un’altra sinistra, se ancora vogliamo definirla così ma ancora Renzi lo fa forse per un minimo di ossequio alle vecchie parole sempre meno significanti - che vuole la sinistra vecchia maniera, la sinistra tutta legata al passato. Quella sinistra lì noi vogliamo distruggerla».
Ma soprattutto, la svolta culturale che c’è dietro questo successo politico (più di undici milioni di voti) sta nell’aggressione, gradita anche a chi ha sempre votato per il centrodestra, contro tutti i problemi che stanno sul tappeto da vent’anni. Non ancora quello della giustizia (ma sono segnali importanti la candidatura del giurista Fiandaca in Sicilia, e si tratta di un avversario della tesi della trattativa Stato-mafia, così come la scelta di Andrea Orlando come Guardasigilli) ma senz’altro quello del fisco («Gli 80 euro sono solo l’inzio»), quello dell’organizzazione dello Stato, quello della burocrazia, quello dell’incapacità di attrarre investimenti anche stranieri, quello dell’ingessatura delle regole sul mercato del lavoro (fino a mettere in discussione lo Statuto dei lavoratori), quello dei costi della politica. E quando Grillo nel famoso duello streaming con Renzi si è lamentato dicendo «ci stai rubando la metà del programma», stava anticipando un po’ ciò che è accaduto in queste ore: il post-Pd che ruba i temi degli altri per rubargli gli elettori. Con una strategia che punta alla concretezza, e si riassume tra l’altro in un messaggio che in tanti volevano ascoltare: «In questo Paese - ha detto Renzi - la classe dirigente è stata molto classe e poco dirigente». Il 41,8 per cento riuscirà, oltre a tutto il resto, anche a cambiare il verso di queste parole e a rendere questa clamorosa svolta storica avvenuta nelle cabine elettorali davvero l’inizio di una fase nuova per un Paese che ne ha fortemente bisogno?

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