ROMA «Scampato pericolo», fu il commento alla primissima proiezione che dava Pd al 33 per cento e cinquestelle al 26. «Risultato storico» fu invece la valutazione affidata alla giovane ma avveduta ministra Boschi alla clamorosa proiezione del Pd al 40 per cento e oltre. «E’ una vittoria di tutto il partito», assicura a tarda notte Lorenzo Guerini, vice segretario in attesa di ratifica. Sottinteso a tutti i commenti: meno male che c’era Matteo Renzi a palazzo Chigi e a guidare il partito, altrimenti i cinquestelle avrebbero fatto vedere le stelle. E la foto di gruppo festosa che immortala al Nazareno tutto il nuovo, giovane gruppo dirigente renziano, conferma l’assunto: è la vittoria di tutto un partito. «Il mio obiettivo del momento è fare il cucchiaio a Grillo», è il leit motiv che Renzi ripete da qualche giorno a mo’ di slogan a chi gli parla. Al Nazareno fanno notare che il M5S sotto il 25 per cento (il loro risultato alle politiche) significa in cifre assolute minori voti per Grillo, vista l’affluenza molto diminuita, si calcola un paio di milioni persi dal due Grillo-Casaleggio in un anno, dalle politiche dello scorso anno. Mentre per il Pd qualunque dato e proiezione significano un aumento anche in voti assoluti rispetto al 25 e rotti incassati a febbraio dal Pd bersaniano. E al Nazareno si fa notare un dato ancora più importante: da dove provengono i milioni di voti in più (si calcola quasi tre milioni) andati al Pd? Certamente dal fronte moderato, e sicuramente da tanti elettori impauriti dalle bizzarrie se non dalle minacce lanciate in maniera ossessiva da comico. «Visto? Un partito con il leader giusto e una linea aperta, riesce a intercettare i consensi in libera uscita dal berlusconismo in crisi», spiega Paolo Gentiloni (e ogni riferimento al Pd bersaniano fermo al 25% con il Cavaliere in crisi è d’obbligo). Significa che adesso Renzi e il Pd guardano al voto anticipatissimo, magari in autunno? Lo chiedono a Guerini, e lui tranquillo risponde: «Potrebbe magari convenirci, ma noi guardiamo al Paese, quindi avanti con le riforme e la linea Renzi».
CONTINUITÀ
E adesso? Il Pd può tornare a occuparsi dei punti lasciati in sospeso causa campagna elettorale: le riforme, quella elettorale in primis; la messa a punto e il rilancio del partito al Sud, dove si sono registrate falle pesanti; la ristrutturazione della segreteria, ferma da tempo, dimezzata con gli ingressi al governo e ora con alcune candidature a Strasburgo (Pina Picierno); la ratifica con voto dei due nuovi vice segretari, Guerini e Serracchiani. L’agenda dem è già pronta per i prossimi giorni, messa a punto da Guerini assieme agli altri ”scampati” del vertice: la nuova segreteria sarà varata entro dieci giorni al massimo; il nuovo presidente, dopo le dimissioni di Cuperlo, entro giugno; riparte in grande stile tutto il lavoro sulle riforme, Senato e legge elettorale. Nomi? Si parla di Michele Emiliano, sindaco uscente di Bari e mancato numero due alle europee, come nuovo ingresso di peso in segreteria, con il compito di seguire in particolare il lavoro al Sud. Un altro nome, ma meno gettonato, è quello di Roberto Speranza, attuale capogruppo alla Camera e punto di riferimento della componente dei quarantenni se non proprio catalogabili come ex bersaniani, comunque non anti renziani (un suo ingresso in segreteria potrebbe portare alla nomina di un nuovo capogruppo, ma al momento nomi concreti non ne circolano).
I PROBLEMI
Tutto liscio, tutto tranquillo? Il Pd si ricompatta, ma che succede tra chi non ha ancora abbandonato l’anti renzismo e cova sentimenti di rivalsa? Le minoranze avevano in animo di tornare alla carica per rivendicare una legge elettorale non bipolaristica ma proporzionalistica, quindi niente Italicum. Ma i renziani già stanno sul chi va là. Sul fronte esterno, Ginefra ricorda a Grillo e soci che dovrebbero adesso coerentemente dimettersi come avevano promesso. Sul fronte interno, avvertendo che ora sulle riforme non si transige, sia Senato che Italicum: vanno fatte secondo quanto concordato.