ROMA Nel pieno del marasma che ha travolto il centrodestra dopo la sconfitta elettorale, Gianfranco Fini annuncia l’intenzione di tornare a fare politica attiva. «Perché all’Italia», avverte, «serve una destra che non scimmiotti il lepenismo francese». Sapendo, sottolinea, che «il problema delle primarie è l’ultimo, così come ultimo è quello della leadership». Il centrodestra, avverte l’ex vicepremier, va ricostruito a partire da programmi e contenuti.
Partiamo, presidente Fini, dal risultato elettorale. Che valutazione ne da?
«Renzi ha avuto un’affermazione innegabile. Il centrodestra al contrario versa in una condizione di assoluta difficoltà non solo per il calo evidente di voti e nemmeno per il problema della leadership che pure c’è ed è evidente. Il problema sono i contenuti. Cosa vuol dire una politica di centrodestra? E’ quella che sta facendo il Ncd che appoggia il governo? O è quella che fa Fi di netta contrapposizione al governo? Su tanti, troppi temi non c’è un messaggio unitario».
E cosa dovrebbe fare allora? Seguire la linea del Ncd di sostegno al governo o quella di Fi di sostegno solo alle riforme?
«Credo che quella del Ncd, che pure ha pagato un prezzo salato anche perché non è stato capace poi di lasciare una traccia visibile del suo apporto determinante alla nascita del governo, sia la linea giusta almeno in questa fase. L’Italia ha ancora tanti problemi, sia di carattere economico sia di carattere sociale. Poi chi come me ha una cultura politica di centrodestra è preoccupato. E intendo fare qualcosa, nei limiti delle mie possibilità, nel prossimo futuro, per ridefinire un’identità culturale e programmatica di una formazione o di un rassemblement che si possa definire di centrodestra. Il neolepenismo, ad esempio, dei Fratelli d’Italia che, lo dico con dolore, hanno utilizzato anche la storia di An senza conoscerla pur avendone fatto parte, di scimmiottare in Italia la politica nazionalista e per certi aspetti xenofoba di Marine Le Pen, non ha nulla a che vedere con una cultura autenticamente di centrodestra».
Se dovessero esserci le primarie di questo nuovo centrodestra, lei parteciperebbe?
«Il problema delle primarie è l’ultimo, così come ultimo è quello della leadership. Le leadership non si nominano a tavolino o si inventano. Il problema fondamentale è cosa vuol dire oggi una politica di centrodestra. Se non si riparte ognuno dalla propria attuale posizione con un lavoro di approfondimento, di contenuto e di programma, non si va da nessuna parte. Faccio un esempio per capirci: la riforma del mercato del lavoro che ha fatto Renzi, è una riforma che io sostanzialmente condivido, che per certi aspetti doveva essere rivendicata come titolo di merito proprio dal centrodestra».
Quale sarà il suo contributo, allora?
«Certamente un contributo di carattere culturale come ho cercato di fare anche in questo periodo, con l’associazione che ho costituito. Ma sto anche ragionando con me stesso e con altri amici per vedere se ci sono le possibilità di far sentire una voce organizzata di una destra che non ha nulla a che vedere con quella rimasta in campo».
Può essere più preciso?
«L'Italia ha bisogno di una destra che non scimmiotti Le Pen e che non abbia come unico obiettivo quello di alleanze a prescindere dai programmi e dai valori di riferimento. Una destra che ricordi la sua vocazione ad essere destra di governo in un momento di grande cambiamento della società italiana. Sarò più presente nel dibattito politico, e comunque tempi e modi per dar vita a questo progetto dai valori e principi di destra, saranno definiti prossimamente».
Cambiando argomento, che effetto le fa il fatto che la Cassazione abbia sostanzialmente bocciato la legge sulle droghe che porta anche il suo nome?
«La legge è stata del tutto cancellata, il governo è corso ai ripari in modo secondo me abbastanza debole perché ha ripristinato la distinzione tra pesanti e leggere che era stata abolita dalla Corte. L’impianto della legge che porta il mio nome lo considero valido tutt’ora. La sentenza della Cassazione ovviamente non si commenta, ma se avessi avuto un ruolo in Parlamento mi sarei opposto al tentativo che c’è stato di prendere atto della sentenza in questione che, va ricordato, contestò l’approvazione attraverso un emendamento a un disegno di legge che era del tutto diverso per materia. Era l’articolo 77 della Costituzione quello che fu contestato dalla Corte. Ma non credo che possa esistere la libertà di assumere sostanze stupefacenti e anche la conseguenza dell’ultima decisione della Cassazione, vale a dire la scarcerazione di tanti spacciatori recidivi non credo che sia un fatto positivo per la società».