Premier a testa bassa: «Riorganizzare le sedi o vendere Raiway se avessero annunciato l’agitazione prima del voto noi al 42,8%»
TRENTO Gli rimangono solo dieci anni: «Perché l’ho detto ai miei ministri: fra dieci anni noi si torna a fare altro». Forse anche per questo Matteo Renzi continua a correre veloce, e mentre ancora si parla di riforme da studiare e di medicine da somministrare all’economia, sul piatto finisce pure la questione Rai, tema che da decenni toglie il sonno a governi e maggioranze: «Vogliamo andare a vedere i numeri della Rai? O capire quanto costa le sedi regionali? Bene, lo facciamo». Più che una proposta, una sfida.
L’approccio, come si dice, è tosto. Ed è conseguenza dello sciopero indetto dal sindacato del servizio pubblico contro l’invito del governo a tagliare 150 milioni dal budget aziendale. Renzi è sferzante: «Se avessero indetto lo sciopero prima del voto invece del 40,8 per cento avrei preso il 42,8». La platea del Festival dell’Economia applaude, lui rincara la dose: «Qui tagliano tutti, le famiglie tagliano da decenni. Se si chiede alla Rai di tagliare qualcosa non è uno scandalo. Assistere a queste cose è umiliante».
I PARTITI IN VIALE MAZZINI
Sul palco col premier c’è Enrico Mentana, che stava in viale Mazzini ai tempi in cui Bruno Vespa da direttore del Tg1 indicava nella Democrazia Cristiana il suo editore di riferimento: «Io vorrei» dice Renzi «che il direttore del Tg1 non avesse come riferimento il Pd o Forza Italia a seconda di chi vince le elezioni, ma una governance che non insegue le ansie dei partiti. Questo è ciò di cui si dovrebbe discutere». E per questo, ripete, le polemiche sui tagli sono «umilianti».
La vendita di Rai Way, a detta del capo del governo, potrebbe fruttare 170 milioni. Era già stata deliberata nel 2000 «poi bloccata dal ministro Gasparri senza un perché». Adesso, dice, si tratterebbe soltanto di renderla operativa e con i soldi incassati di partecipare al sacrificio chiesto: «Io non voglio tagliare i contenuti o i programmi o mandare a casa della gente. E allora questa polemica proprio non la capisco visto che soprattutto nell’interesse di quelli che sono in Rai bisognerebbe occuparsi di altro».
OPERAZIONE VERITA’ SUI CONTI
Sfida lanciata, sfida accolta. Poche ore dopo l’intervento di Renzi a Trento, l’Usigrai - il sindacato dei giornalisti della tv di Stato - manda segnali di fumo di fronte all’idea di riformare l’azienda e il servizio pubblico: «Se questa è la partita che Renzi vuole fare noi ci stiamo. Del resto lo chiediamo da decenni. E non vediamo l'ora di fare una bella operazione verità sui conti, per colpire i veri sprechi: appalti, consulenze e produzioni esterne, contratti di collaborazione inutili e superpagati».
La corsa di vip tv e direttori per smarcarsi dalla protesta
Tra l’ansia di accreditarsi con Renzi e la paura di una battaglia impopolare. Masi (Tg2): fuori di qui nessuno capirebbe
Giletti: non dobbiamo fare i conservatoriLE STAR COME
ROMA Si sentono assediati da se stessi. Più che da Renzi. «Stiamo facendo una boiata». Ecco il grido di non battaglia, la supplica per il dietrofront, il sussulto di non autolesionismo che nella cittadella di Saxa Rubra, in queste ore, ripetono in tanti. Nella redazione del Tg3, nella palazzina bianca del Tg1 e tra i giornalisti del Tg2. Il direttore di questa testata, Marcello Masi, spiega quello che tutti si stanno spiegando tra di loro vicendevolmente: «Questo sciopero rischia di farci apparire, agli occhi dei cittadini, ciò che non siamo: una corporazione». E ancora: «Io sono contrario allo sciopero perché fuori di qui non verrebbe capito».
I CANNONI
Giornalisti, operatori, tecnici, maestranze varie, si aggirano nei vialetti assolati del fortino di Saxa Rubra sapendo di avere contro non un governo ma un Paese. E allora, così si ragiona davanti al bancone del bar in fondo al viale sulla destra: «Perché ingaggiare una battaglia quando i cannoni ce li ha il nemico, mentre noi al massimo abbiamo le scarpe di cartone e le pistole ad acqua?».
Il Tg3, se potesse, andrebbe in onda nonostante lo sciopero. E i dubbi sulla video-serrata antirenziana percorrono Saxa e Viale Mazzini, coinvolgono peones e riguardano anche vip perché la legge eterna del mondo Rai dice che è meglio essere amici del governo piuttosto che il contrario. E se il trasformismo è vizio italico, non c'è luogo più arci-italiano della televisione pubblica. Dunque, nei piani alti dei tiggì, è tutto un ripetere: «No, lo sciopero noooo». Le paure di non potersi mai più riciclare renzianamente dopo aver fatto uno sgarbo a Renzi serpeggiano tra quelli di qui e anche in mezzo ai dirigenti. Tra cui spiccano due amici e sostenitori di Matteo che in queste settimane tutti chiamavano, tutti corteggiavano e tutti pressavano perché intercedessero - e i due sono Paolo Del Brocco e Luigi De Siervo, appena promosso - presso il premier e lo rabbonissero per quanto possibile. E comunque, dopo le cannonate di Renzi da Trento, città molto da Grande Guerra, nel fortino di Saxa Rubra i giovani mal pagati hanno preso coraggio, i non papaveri stanno rialzando la testa contro i sindacalisti e contro i mandarini (che un po' renzeggiano per non farsi rottamare ma non tutti), i meno lottizzati stanno osando sempre di più prendere di mira quello che al Tg3 chiamano lo sciopero Tafazzi. E Tafazzi è quella macchietta televisiva che si prendeva a martellate sui cosiddetti e riceveva i colpi autoinferti con una gaiezza fuori luogo, fuori tempo, fuori sincrono, proprio come appare per molti aspetti la Rai rispetto al tempo presente e al tempo renziano.
BARRICATE? PER CARITÀ...
Si sta giocando la partita dei vip intorno allo sciopero Rai. E uno come Massimo Giletti, il re delle domeniche, parla così: «Non accettare la ristrutturazione è atto di conservatorismo». E ancora: «Non bisogna fare le barricate. Va accettata la sfida a cui Renzi ci invita». Ma si sta giocando anche una lotta di classe quaggiú a Saxa Rubra. E vede schierati per lo più contro lo sciopero Tafazzi i giovani non nababbi, i contrattisti a termine, i nuovi assunti e i non garantiti. Mentre il ventre molle e grasso della Rai di sempre, succursale dei partiti e dei loro protetti, sfrutta l'occasione dello sciopero e si accoda all'Usigrai perché la palude deve restare palude e se proprio va prosciugata «la prosciughiamo noi» magari con l'aiuto dei grillini. E ieri, infatti, dalle trincee antirenziane della cittadella Rai semideserta - ma il festivo è strapagato e il super festivo vale per un giorno quasi quanto lo stipendio mensile di un insegnante e più dello stipendio mensile di un operaio spesso più alfabetizzato di un giornalista - si sono infittite le telefonate rivolte al grillino Fico, presidente della Vigilanza Rai e neo-paladino del sistema televisivo.
I vip che renzeggiano, magari per amore di sé. I giovani anti-sciopero, per un senso di giustizia o di invidia generazionale. Di fatto, si tratta di disturbi al gioco del sindacato. E Renzi si sente forte perché l'avversario è diviso e confuso.