L’Abruzzo uscito dalle urne e la necessità di intervenire sulla macchina amministrativa, nelle riflessioni dell’avvocato Marcello Russo che contribuì a scrivere il primo statuto regionale.
Bisogna dire che l'elettorato abruzzese nel suo complesso ha manifestato una saggezza e un equilibrio che i singoli uomini non potranno mai esprimere. Luciano D'Alfonso ha aggiunto alla spinta renziana la capacità di rapporto umano che egli ha sempre dimostrato con sprezzo del pericolo (giudiziario) pericolo al quale è sopravvissuto cinquanta volte e dal quale dovrà cautelarsi per l'avvenire. Gianni Chiodi non è stato eliminato dalla scena politica come tutti i suoi predecessori ma gli è stato assegnato il ruolo di "opposition leader". In fondo mostrava segni evidenti di stanchezza. E' giusto che allenti la tensione e possa valutare se affinare la sua capacità politica o effettuare un ritorno morbido alla sua attività professionale. E' anche umanamente comprensibile che Luciano D'Alfonso, all'esito dell'impegnato scontro elettorale, si sia presentato alla piazza plaudente come chi, condannato da anni all'astitenza, si trovi a poter esprimere al meglio tutta la sua fecondità e la sua facondia. Mancava uno Sgarbi per ricondurre ad un classico dell'arte il quadro dei volti che lo contornavano.
Bene ha fatto Chiodi a telefonare all'avversario complimentandosi e ad assicurare ai molti che lo hanno votato che vigilerà. Ora sul passato e sul futuro possibile vanno abbandonati gli argomenti della campagna elettorale. Dobbiamo dire innanzitutto che non basta parlare del bilancio ristretto dell'Ente (in parte rilevante sanato), ma occorre basare l'azione su quello "consolidato" comprensivo dei bilanci delle strutture collegate. Occorre, cioè, comprendervi la situazione dell'Arpa, dei Consorzi acquedottistici, dei Consorzi industriali, delle Ater e così via. Si dovrà così costatare che la sommatoria di multimilionari dissesti non consente di parlare di nuovi investimenti (fatta eccezione per i finanziamenti esterni) senza prima sistemare i dissesti. La questione finanziaria complessiva era nota a chiunque sapesse leggere un bilancio regionale (sottoposto annualmente al voto del consiglio) e si è preferito - comprensibilmente - di tacerne in campagna elettorale. Alla questione finanziaria occorre aggiungere quella istituzionale: è interessante rilevare come il presidente Chiodi abbia presentato, come fondamentale risultato di eccellenza, il risanamento della spesa sanitaria compiuto da lui come Commissario di Governo (con esclusione di ogni ruolo di Giunta, Consiglio, Dirigenti Regionali). Altri risultati positivi non sono emersi. In sostanza la Regione, con i suoi organi, le migliaia di dirigenti e le costose strutture appare sostanzialmente inutile, essendo sufficiente un commissario governativo a risolvere, su indirizzi governativi, i principali problemi. Luciano D'Alfonso promette di risolvere tutte le questioni che gli saranno proposte da ogni cittadino (senza mai dire che alcune non sono di sua competenza), di purificare tutte le acque, di rendere veloci gli uffici e così tutte le azioni pubbliche, persino le liste di attesa negli ospedali. Insomma Chiodi ha sostenuto che la Regione ha funzionato nella parte commissariata. D'Alfonso ritiene che la Regione è potente e tanto onnipotente da poter dare risposta anche a problematiche che non sono di sua competenza. In realtà il problema nel suo complesso sta nella mutazione progressiva dell'Istituto Regionale che non è più quello disegnato dalla Costituente nel 1948 e non è neppure quello derivante dalle modifiche del titolo V introdotto nel 1999 e nel 2001. Le Regioni, concepite nella Costituzione del 1948 come Enti di programmazione, legislazione, controllo (a misura delle loro diverse caratteristiche), sono state di fatto espropriate dallo Stato (a sua volta reso a sovranità limitata dall'Europa) delle funzioni legislative. Le funzioni amministrative fondamentali sono tate “commissariate” dal Governo. Le funzioni di controllo sono state soppresse. La vacuità della scarsa legislazione prodotta negli ultimi anni, la poca azione amministrativa meramente burocratica, l'eliminazione dei controlli sono immediatamente percepibili attraverso la semplice lettura di giornali. Eppure le Regioni sono essenziali per una piena utilizzazione delle risorse, per lo sviluppo delle specifiche potenzialità, per la più immediata risposta alle esigenze della collettività. Una programmazione globale nazionale non può cogliere le specifiche risorse e affrontare i concreti bisogni. La nostra Regione, giunta ad un punto inerziale sulle funzioni di programmazione - legislazione - governo - controllo, esauriti i compiti di Commissariato del Governo, dovrebbe partire con una nuova fase di effettivo funzionamento, senza dinamismi estroversi (generatori di tanti guai nel passato), senza opposizioni frenatorie e denunziatorie. I problemi sono chiari nella sussistenza e non suscettibili di varia soluzione come è giusto che siano quelli veramente politici. Si può fare cenno alle questioni più significative: come ricostruire l'elefantiaca macchina degli uffici senza inconcepibili soppressioni di migliaia di posti, senza inconcepibili trasferimenti di massa ma adeguando a rete il sistema con gli enti locali; come rendere effettivo il ruolo degli organi (presidente, giunta, consiglio): forse occorre qualche “ritocco” statutario; come ridurre la legislazione a compiti minimi, di stretta attinenza regionale, relativi ad una programmazione reale, di tipo aziendale, abbandonando la fatuità delle leggi sul nudismo e simili; quale riassetto del territorio operare. Quale rapporto istaurare fra sanità pubblica e privata. Quale uso fare delle terre incolte e abbandonate (una risorsa enorme incredibilmente trascurata); come affrontare lo stato complessivamente disastroso di società pubbliche a partecipazione regionale, di enti acquedottistici, di istituti di edilizia popolare, di consorzi industriali: tale stato è noto agli addetti ai lavori ma è coperto dal compromesso storico del silenzio. Le soluzioni sono varie ma richiedono il coraggio delle idee; come ripristinare i controlli sugli atti e sulla gestione. I vari controlli vengono esercitati in modo occasionale dai magistrati penali, privi di competenze settoriali e di possibilità di indirizzare l'amministrazione in senso positivo. Ne consegue che per ogni ufficio regionale negare, impedire, cavillare è condizione di sicurezza. Forse il coraggio di assentire ha un prezzo particolare con ciò che ne consegue in termini di corruzione; anche l'intervento della Regione nei casi di aziende in crisi potrebbe avere un senso. Se si riprendesse un antico confronto fra “analisti” e “tappabucchisti” risultante da documenti datati ma ancora significativi, che dovrebbero essere reperibili negli archivi regionali. Su questi problemi fondamentali potrebbero in breve tempo essere individuate le linee guida del confronto operativo. Marcello Russo