PESCARA Una settimana di sordina in vista dei ballottaggi ma la pentola a pressione di Forza Italia continua a bollire. I tempi, stretti e convulsi, non sono favorevoli alla riflessione, così dai vertici è partito un diktat per il silenzio che garantirà almeno la facciata: ci sono partite importanti come quella di Maragno a Montesilvano, di Brucchi a Teramo e Mascia a Pescara da giocare a tappeto. Si vedrà.
Eppure dietro le quinte è tutto un fiorire di accuse e controaccuse sulla gestione di Pagano e Chiodi delle elezioni e non saranno certo i ballottaggi a frenare l’onda che, qua e là, rischia di produrre esiti scomposti, come nel caso della battuta domenicale di Febbo su Dudù a proposito della telefonata con cui Berlusconi ha confermato la fiducia al cooordinatore regionale. Il quale, da par suo, resta convinto di aver operato per il meglio rinnovando tutti i vertici provinciali e provando a gestire una sorta di turnover, comunque e a prescindere da quello che sarebbe successo alle Regionali.
La questione che i dissidenti addossano al duo Pagano-Chiodi è senza dubbio di metodo: la lettera aperta di Fabrizio Di Stefano dello scorso fine settimana in questo senso è chiarissima. Se c’era da fare una riflessione andava svolta con «il maggior numero di persone» e non con pochi affiliati per giunta incappando nell’ambiguità della convocazione dell’ultim’ora per i parlamentari. Di Stefano, dal canto suo, ha usato più volte nella lettera il termine umiltà per evitare di produrre allargamenti della spaccatura ma il dissenso è palese.
E questo è solo il day after della sconfitta alle Regionali perchè le contestazioni sulla composizione delle liste erano già latenti: i chietini in corso di campagna elettorale avevano più volte sottolineato come mancassero esponenti della sanità, tanto dei medici che degli infermieri; che anche all’interno dell’apparato regionale il centrodestra fosse inviso e che la campagna elettorale di Chiodi non fosse riuscita a garantire quantità e qualità rispetto a quanto fatto durante il governo e, soprattutto, rispetto al lunghissimo lavoro di programmazione svolto da D’Alfonso.
Il problema dei forzisti, in realtà, era già evidente dalle Politiche dell’anno scorso quando la diaspora di movimenti aveva ben delineato la frantumazione di interessi che la sorprendente vittoria al Senato aveva contribuito a imbellettare. Ma su certi equivoci non si è lavorato, sulle posizioni dei consiglieri usciti e rientrati si è soprasseduto e sul ricambio di Piccone non si è lavorato lasciando in eterna cottura la nomina di Pagano. Coincisa invece con la partenza di Ncd che ha anticipato di poco Rimborsopoli. I problemi di Forza Italia nascono da lontano e l’assetto attuale non aiuta: con Di Stefano, a livello romano, lavorano Pelino e Razzi. Con tutto il rispetto e oggettivamente, è l’opposto di quel che servirebbe in piena ricostruzione del partito. Di Stefano, appunto, che nella lettera richiama Confucio auspicando di indirizzare costruttivamente l’autocritica.
Ma questo è il problema di un partito che il ruolo del leader non se lo pone solo a livello nazionale. Il silenzio di Chiodi in questi giorni è abbastanza imbarazzante, anche se annunciato la sera stessa del -17%. Sarebbe, anzi è, il leader naturale dell’opposizione nel Consiglio che verrà. Zero al quoto anche difronte alle accuse di «gestione autoreferenziale» che i dissidenti hanno messo sul tavolo. Di questo passo, e stavolta senza cipria d’emergenza, il rischio è che i forzisti lascino il ruolo di vera opposizione a Cinque Stelle molto al di là dei freddi numeri.