ROMA Sempre tesa l’atmosfera attorno al caso Rai. Lo sciopero proclamato per l’11 giugno contro il contributo di 150 milioni chiesto dal governo a viale Mazzini è ancora in calendario. Scelta che però desta crescenti perplessità, ieri il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha lanciato un appello al dg Gubitosi perché convochi i sindacati Rai «al fine di evitare il blocco del servizio pubblico che sarebbe solo un errore, e per aprire assieme al governo una discussione trasparente sul piano industriale e sull’anticipo del rinnovo della concessione di servizio pubblico». Va detto che anche da parte del governo si registra più di un’apertura sui temi posti dal sindacato e dall’azienda, anche se sul punto cruciale della querelle l’esecutivo non intende arretrare: «L’orientamento resta quello che era - conferma il viceministro dell’Economia Enrico Morando -. Il contributo di 150 milioni a carico della Rai resta inalterato». Anche se la stessa Rai, precisa il viceministro, verrà esclusa dal novero delle imprese partecipate a cui sarà chiesta una riduzione dei costi del 2,5% nel 2014 e del 4% nel 2015.
Per quanto riguarda un altro dei punti più controversi, quello cioè della riduzione delle sedi regionali, lo stesso Morando afferma che «l’aver stabilito per legge - con la normativa Gasparri - l’autonomia finanziaria delle sedi regionali è una stortura che il governo vuole eliminare». Ma è proprio sulle sedi regionali Rai e sull’anticipo del rinnovo della concessione che si è aperto ieri un concreto spiraglio di mediazione. Il governo dovrebbe infatti presentare oggi un emendamento che sostanzialmente accoglierà la proposta fatta in commissione Bilancio dal senatore pd e vicepresidente della Vigilanza, Salvatore Margiotta, volta a mantenere l’obbligo di una sede della Rai in ogni Regione. Nell’emendamento dell’esecutivo verrebbe comunque lasciata alla Rai la flessibilità necessaria su come garantire l’informazione in tutte le Regioni.
ANTICIPO DELLA CONCESSIONE
Quanto alla concessione del servizio pubblico, il segretario dem della commissione Vigilanza, Michele Anzaldi, richiamandosi all’appello di Bonanni per scongiurare lo sciopero, ricorda che il Pd ha già manifestato in Vigilanza il proprio favore per un anticipo della concessione che scade nel 2016. E proprio sul tema è arrivata dal sottosegretario Antonello Giacomelli una risposta all’apparenza dura ma che contiene una sostanziale apertura. «Sulla Rai e sullo sciopero - ha detto l’esponente dell’esecutivo che sta seguendo la vicenda dell’azienda di viale Mazzini - ha già parlato Renzi. La linea del governo non cambia, non ci faremo dettare l’agenda da nessuno». Ma poi il sottosegretario arriva a fissare anche i termini temporali di quello che dovrebbe essere il nucleo della trattativa: «Anticipazione del percorso della concessione, riforma del canone, trasformazione e innovazione della Rai sono gli obiettivi da raggiungere entro il 2014. Su questo apriremo un confronto con tutti, perché il servizio pubblico è di tutti e non solo degli addetti ai lavori».
A Giacomelli arriva a tamburo battente la risposta della Fnsi e dell’Usigrai, che già in mattinata avevano lanciato segnali di apertura al confronto con il governo: «I toni del sottosegretario - scrivono in una nota i segretari delle due organizzazioni Franco Siddi e Vittorio di Trapani - sono sopra le righe. A noi però non interessano le polemiche ma i contenuti e si tratta di un’apertura importante, a partire dall’anticipo al 2014 del rinnovo della concessione che, assieme agli altri punti, avevamo posto come centrali per il futuro e il rilancio della Rai. L’Usigrai - conclude la nota - convocherà i propri organismi dirigenti per valutare le decisioni da assumere sullo sciopero». Siddi e di Trapani, in un precedente comunicato, avevano affermato che «Fnsi e Usigrai staranno come sempre dalla parte di chi promuoverà l’inevitabile e sacrosanto progetto di riforma della Rai», indicando come «unica strada possibile per uscire dal muro contro muro con il governo l’anticipo al 2014 della discussione sul rinnovo della concessione Stato-Rai».
Prevista domani in Vigilanza l’audizione del presidente della Rai Anna Maria Tarantola e del Cda dell’azienda.
De Siervo: sciopero sbagliato tre reti pubbliche sono troppe
ROMA Luigi De Siervo è il presidente dell’Adrai, l’associazione dei dirigenti della Rai. L’unico organismo che non ha aderito allo sciopero dell’11 giugno indetto dalle altre sette sigle sindacali dei dipendenti Rai.
Dottor De Siervo, voi siete critici verso il taglio di 150 milioni alla Rai deciso dal governo ma siete contrari allo sciopero. Perché?
«Non vogliamo che gli italiani pensino che lo sciopero sia indetto per una difesa corporativa della Rai e di qual si voglia privilegio. Per questo non solo non aderiamo allo sciopero ma confidiamo che gli altri sindacati possano recedere da una iniziativa che rischia un effetto boomerang».
Ma, sciopero o no, non vorrà negare che la Rai non abbia qualche problema di spreco, di sovrapposizione e di privilegio.
«L’attuale dirigenza della Rai la lotta agli sprechi la sta già facendo. Abbiamo già iniziato la nostra traversata del deserto».
Tiri fuori qualche prova, per favore.
«Ci sono cifre consistenti che lo testimoniano. Nel bilancio 2012, nonostante la crisi della pubblicità, abbiamo varato tagli per circa 100 milioni, altri 100 milioni di minori spese sono scattate nel 2013 ed anche per il 2014 i tagli proseguono. Il tutto su un bilancio complessivo che si aggira su 2,5 miliardi. Si tratta, all’evidenza, di somme molto importanti. Dunque quello che si legge in questi giorni sui giornali, che descrivono la Rai come chissà quale baronìa del privilegio, è assolutamente parziale».
Voi, però, bollate come incostituzionale la richiesta dei 150 milioni fatta dal governo.
«Ci sono fior di pareri tecnici su questo nodo. Ma il punto non è questo».
E qual è?
«Noi vorremmo che l’intera questione dei tagli alla Rai dia vita ad una discussione feconda sul destino della Rai».
Cosa proponete?
«Visto che nel 2016 è previsto il rinnovo della convenzione sul canone, proponiamo di anticipare questa decisione a quest'anno. In sintesi chiediamo al governo di dire che Rai vuole. In questo quadro sarà naturale individuare le cose da fare».
E invece che sta accadendo?
«Con i 150 milioni il governo individua una cura prima di fare una diagnosi puntuale. Sul piano logico è assurdo».
Dottor De Siervo, non è che volete tirarla per le lunghe per evitare di fare la vostra parte?
«Faccio un esempio concreto così mi spiego meglio. Prendiamo la suddivisione della Rai in tre reti principali. E’ un’organizzazione ”antica”, figlia delle esigenze della prima repubblica. Noi proponiamo di aggiornarla all’Italia di oggi. Se si definisse questo progetto è evidente che la dirigenza dell’azienda sarà in grado di trarne le conseguenze anche in termini di risparmi. Un altro esempio? La governance. Se il nodo da sciogliere è il rapporto perverso fra la Rai e la politica, si affidi la guida dell’azienda ad un manager in grado di rispondere del suo operato all’opinione pubblica».
Insomma lei sostiene che la Rai non è la madre di tutti i privilegi cosa che paradossalmente lo sciopero rischierebbe di sancire.
«Molto puo' essere ancora fatto per migliorare la Rai, ma non c’è dubbio che la politica dei tagli, da tutti auspicati, l’abbiamo già avviata. Mentre per quanto concerne il prodotto le risorse umane interne alla Rai, a nostro giudizio, sono in grado di fare una buona televisione. Oggi molti dei nostri ”autori”, sono andati a lavorare fuori, ma ultimamente siamo riusciti a assumerne un paio e altri rientrerebbero se ce ne fossero le condizioni».
Quali condizioni?
«Si deve smettere di parlare della Rai come se fosse la nazionale di calcio con 60 milioni di allenatori. Il governo ci deve dire che modello di televisione e di Servizio Pubblico vuole. Discutiamone subito e non nel 2016».