ROMA Indietro tutta: lo sciopero dei giornalisti Rai non ci sarà. Ha prevalso la linea delle testate nazionali e regionali. Prendere tempo, sospendere lo stop già proclamato per il prossimo 11 giugno ma confermare lo stato di agitazione per contestare il taglio di 150 milioni contenuto nel decreto Irpef. La prima crepa sul fronte sindacale si era aperta con la defezione della Cisl, quando Bonanni si era smarcato dalle altre sigle considerando «sbagliato» lo sciopero. Decise ad andare avanti invece Uil e Cgil.
Il sì alla sospensione ha prevalso a larga maggioranza. In alcune redazioni è stato unanime. Il Garante aveva ritenuto «illegittimo» lo sciopero anche se in realtà la decisione non hapesato più di tanto. Ha pesato invece la voglia di trovare una via d’uscita da una contrapposizione «scomoda» con il governo. «Non è una marcia indietro ma un passo avanti sul tema delle riforme», difende la linea del suo sindacato Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai che rappresenta 1400 giornalisti su 1700. Il sindacato aveva replicato con toni duri alle parole di Renzi («uno sciopero umiliante») . Toni che si sono ammorbiditi solo dopo le apertura del vice ministro alla Comunicazione Giacomelli: anticipare il rilascio della concessione in scadenza nel 2016; riformare il canone per recuperare l'evasione e mantenere una sede Rai in ogni regione. Scioperare dopo queste aperture per Giacomelli vorrebbe dire «essere fuori sintonia con il resto del Paese».
ATTACCO AI MEZZIBUSTI
La spaccatura del fronte si riverbera ora sulle categorie, i lavoratori Rai degli altri comparti. Ed è scontro tra sigle: «L'11 giugno a scioperare non saranno i mezzibusti sediziosi guidati da un insieme variegato di sindacati corporativi, pronti a difendere “privilegi” - semina discordia una nota Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl Tlc, Snater, Libersind Confsal - mentre l'Italia tutta è chiamata a fare ancora sacrifici. A scioperare saranno coloro che da sempre e prima di tutti hanno denunciato sprechi e privilegi».
LA PALLACORDA
Prosegue intanto il dibattito sul futuro del servizio pubblico. In gioco il destino della Rai. La presidente Tarantola ha posto la questione in modo tassativo. Nessun piano industriale è possibile se prima l’azionista di maggioranza non definisce “il modello“. «Si potrebbe creare una sorta di “Pallacorda” - propone il democrat Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza - con i protagonisti presenti e passati della tv per mettere sul tappeto tutte le questioni rilevanti e arrivare ad una bozza di lavoro da consegnare al Parlamento. Il nuovo servizio pubblico non potrà e non dovrà nascere dal parto dei burocrati, che magari il televisore del salotto di casa non lo accendono mai». Anzaldi ha fatto a titolo di esempio qualche nome, un elenco: Santoro, Beha, Freccero, Rizzo Nervo, Annunziata, Mentana, Gruber, Sorgi, Riotta, Minoli, Baudo, Pif, Lerner, Deaglio, Parissone, Campo Dall'Orto, Minà, Costanzo, Guglielmi e Ruffini.
Ieri è tornato a riunirsi il cda per la presentazione dei palinsesti. Novità la “ Domenica In” condotta da Paola Perego, mentre l'Arena di Massimo Giletti si allunga di mezz'ora. Quattro le serate settimanali previste per Porta a Porta di Bruno Vespa, anche se dieci saranno sostituite da un programma di Duilio Giammaria.