PESCARA Flop, fallimento, trombati eccellenti. Dal 25 maggio ad oggi, è stato detto di tutto, ma alla luce del risultato del ballottaggio, è doveroso far chiarezza sul ruolo giocato in questi cinque anni dagli assessori della giunta Mascia. Solo due, su dodici, siederanno nel prossimo consiglio comunale: Eugenio Seccia e Marcello Antonelli. Non può essere considerato un caso. Molti di loro non hanno neanche superato la soglia dei 600 voti, il minimo sindacale per chi ha governato la città per un lustro. E, invece, resteranno fuori da palazzo di città autentici pezzi grossi come il vicesindaco Berardino Fiorilli, uno dei protagonisti indiscussi dell’era Mascia, o campioni di preferenze come Roberto Renzetti e Nicola Ricotta, insieme a Isabella Del Trecco, Giovanna Porcaro, Maria Grazia Palusci, Massimo Filippello, Giovanni Santilli (escluso dal consiglio nonostante i suoi 745 voti, presi però nella lista sbagliata), Antonio D’Intino e Guido Cerolini.
Cosa non ha funzionato? Provare a analizzare i limiti della passata giunta di centrodestra Gianni Teodoro, che cinque anni fa si schierò dalla parte di Mascia, salvo poi abbandonare la maggioranza pochi mesi dopo. «Mi sono reso subito conto che la mancanza di esperienza sarebbe stata il problema di quell’esecutivo - spiega -. Non c’era una valutazione complessiva del territorio e neanche la volontà di ascoltare da un lato le istanze dei cittadini e dall’altro i consigli di chi aveva già dato un contributo alla città. È mancata la concretezza e i cittadini se ne sono accorti». Il rapporto fra l’ex primo cittadino e i pescaresi, in effetti, non è mai stato roseo, ma piuttosto distante e freddo, come dimostrano plasticamente i tornelli fatti istallare all’ingresso del Comune per controllare entrate e uscite.
Certe decisioni della giunta, poi, sono sembrate anacronistiche o, comunque, non congeniali alle esigenze dei pescaresi. Senza considerare le grandi emergenze, dall’alluvione alla mega nevicata, passando per la crisi del porto, Mascia e il suo entourage hanno spesso sottovalutato l’importanza del dialogo. «Un dialogo che non doveva solo essere istaurato con i cittadini, ma anche con una Regione amica - commenta l’ex sindaco Carlo Pace, padre politico di molti rappresentanti del governo Mascia, ma anche fra le prime anime critiche della coalizione -. Avrebbero dovuto sbattere i pugni sul tavolo e pretendere più attenzione per Pescara, non avrebbero dovuto permettere a nessuno di svuotarla dei suoi servizi o di farla regredire. Il programma per il territorio è stato completamente disatteso e sapevo che sarebbe andata così. Ora mi auguro solo che Pescara possa ripartire e per questo ho già fatto gli auguri al nuovo sindaco Alessandrini».
Bocciatura senza appello, dunque, così come è netta la sconfitta della lista civica Pescara Futura. Cinque anni fa toccò l’undici per cento diventando azionista di riferimento della giunta, mentre oggi si è fermata al 5, quota che permetterà solo al leader Carlo Masci di occupare uno scranno. La lista civica nata negli anni ’90 da un’intuizione dell’avvocato Colacito oggi sembra rappresentare un’era politica conclusa, troppo lontana per essere ancora attuale. Se abbia compiuto il suo ciclo è presto per dirlo, ma ciò che è certo è che l’emorragia di voti è sicuramente legata anche all’allontanamento dalla lista di alcune delle sue punte di diamante, Stefano Cardelli su tutti.