L’AQUILA Il «manifesto dalfonsiano», nel giorno del passaggio di consegne con Gianni Chiodi, regala un’inattesa novità. Visto che «è bene che i tacchini votino prima di Natale», come dice citando un costituzionalista, Leopoldo Elia, tra le priorità del nuovo consiglio spunta la riforma della legge elettorale, che «è giusto fare alla fine e non all’inizio» di una legislatura. Dunque l’attuale norma, vituperata e già alla gogna per la grande confusione che ha generato nei conteggi, potrebbe andare in soffitta molto prima del preventivato. Perché? Intanto perché, dice D’Alfonso, vanno normati anche gli «interregni», come questo durato 17 giorni, nel quale «se non ci fosse stata civiltà nei rapporti» tra lui e Chiodi il sistema «sarebbe anche potuto impazzire». E poi perché, in senso generale, «l’assetto normativo va rieducato» sui binari della facilità e della velocità. Sognava, o meglio, studiava questo giorno dal 1988, Luciano D’Alfonso. Da quando, cioè, Emilio Mattucci codificò per primo una legge sulla programmazione che tanto affascinò quel giovane studente. Certo, forse non lo immaginava così «monco», con un consiglio di fatto sub iudice, appeso alle nuove decisioni di tribunali e corti d’Appello. Una condizione, però, che non sembra turbarlo più di tanto. La giunta sarà pronta lunedì, con Lolli blindato alla vice presidenza («Con lui c’è più che fiducia, direi una condizione di armonia») nonostante i pruriti del Pd teramano. Per il resto il passaggio di consegne (più formale che sostanziale visto il caos-voti) è all’insegna di una grande cordialità. Tanto che Chiodi diventa addirittura «il presidente emerito».
Il discorso di D’Alfonso è alto, altissimo, zeppo di nomi e citazioni. Pare un «manifesto», appunto, tra il programma e l’ideale. Giunte tradizionali convocate sempre alle 18, una volta a settimana, ma anche «tematiche itineranti» nei territori oggetto «di attenzione, affanno e dolore». Stop alle delibere fuori sacco (senza istruttoria dei servizi), «un livido alla cultura della programmazione» di cui Mattucci è stella polare. Grande spazio al confronto nazionale e internazionale, da dove passa «l’approvvigionamento normativo». Nella «banca del tempo», per giovani e imprese, ci sono «velocità, facilità, comodità, funzionalità». Ma soprattutto due miliardi di euro da spendere in sette anni, che dovranno essere «carne e sangue» nella vita delle persone. La due diligence interna è già cominciata con un’ampia verifica dello stato del debito e delle pratiche aperte. Poi si stenderà una norma per L’Aquila capoluogo, «affinché chi investa qui trovi procedure accelerate». La fondovalle Sangro sarà completata, presto ci sarà un vertice con Anas nazionale. Giunta e consiglio saranno sotto l’occhio di webcam. Sempre in tema di trasparenza gli eletti dovranno alimentare l’anagrafe patrimoniale e, novità assoluta, comunicare l’elenco dei portatori d’interesse conosciuti («I miei - ha detto D’Alfonso - sono 90 mila»). D’Alfonso allarga gli orizzonti, citando i «giganti» del pensiero abruzzese (Delfico, De Vincenzi, Filomusi Guelfi, Capograssi) e annunciando la «giunta parallela» a cui si rivolgerà, una sorta di think tank con a capo lo storico Raffaele Colapietra («Sarà sempre ascoltato da me»), composto dai tre rettori e personalità di spicco come Edoardo Tiboni, Bruno Sulli, Francesco Sanvitale, Luca De Meo, Niko Romito, Roberto Marinucci. L’obiettivo è «dare cibo all’ambizione dell’Abruzzo, caduta in modo verticale». Arriva un mazzo di fiori con i colori della Regione. «Ho timore per i doni - scherza D’Alfonso - Donatelo al convento di Santa Chiara dell’Aquila».