L’ex presidente accusato di aver preso 50 mila euro di presunte mazzette
PESCARA «Di Cristoforo mi aveva detto senza mezzi termini: “Se mi riconosci queste percentuali è bene altrimenti io cambio ditta e non ti faccio neanche entrare alla porta». L’aveva definito il «ricatto dell’impegno alla dazione di denaro» l’imprenditore aquilano Claudio D’Alessandro, la gola profonda dell’inchiesta che il 17 luglio 2013 portò ai domiciliari 6 persone tra cui l’ex presidente dell’Aca Ezio Di Cristoforo. D’Alessandro, arrestato nel 2012, aveva reso al pm una lunga confessione raccontando di aver pagato circa 170 mila euro di presunte tangenti e tirando in ballo l’ex presidente dell’Aca, il tenente colonnello dell’esercito William Basciano – andato poi in pensione – e dipingendo un sistema, come allora lo chiamò il gip, «di metodica alterazione della linearità dei concorsi di selezione dei soggetti privati beneficiari degli appalti pubblici». D’Alessandro, insieme al fratello Antonio e ad altri due nomi finiti nell’inchiesta, ha poi patteggiato mentre, ieri, il filone madre è arrivato al giro di boa: il procuratore capo Federico De Siervo e il pm Anna Rita Mantini hanno cristallizzato le accuse firmando l’avviso di conclusione delle indagini per Di Cristoforo, il direttore tecnico dell’Aca Lorenzo Livello, Basciano e il geometra del Comune di Montesilvano Salvatore Tasso. Di Cristoforo, Basciano e Tasso sono accusati di turbativa d’asta e di corruzione mentre a Livello è contestata la turbativa d’asta. Quattro indagati. Restano 4 gli indagati nell’inchiesta di grandi proporzioni condotta dalla Forestale alla guida di Annamaria Angelozzi e dalla Squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana che, inizialmente, aveva parlato di presunte gare turbate all’Aca, ai Comuni di Montesilvano e di Cepagatti, all’ufficio infrastrutture dell’esercito e anche all’Ater di Chieti. Poi, l’inchiesta si è smembrata perché molti nomi sono passati per competenza a Chieti, in quattro hanno patteggiato complessivamente circa 6 anni di pena e, quindi, nel fascicolo sono rimasti quattro nomi. Il filone Aca. Secondo i pm, a partire dal 2010, ci sarebbe stata una manipolazione delle gare all’Aca in cui le ditte da invitare sarebbero state scelte da Di Cristoforo e Livello e sarebbero state tutte riconducibili agli imprenditori D’Alessandro. In particolare, l’accusa fa riferimento alle gare d’appalto per la manutenzione fognaria di Pescara per un importo complessivo di circa 1 milione e 600 mila euro. Per ottenere quei lavori, ricostruisce ancora l’accusa, l’imprenditore D’Alessandro sarebbe stato indotto a versare somme di denaro, «una percentuale del 6 per cento del valore di aggiudicazione della gara». Complessivamente a Di Cristoforo viene contestata la cifra di circa 50 mila euro di presunte tangenti e «la promessa», come sottolineano i pm, «di ulteriori 48 mila euro, pari al 6% di una gara aggiudicata da 800 mila euro». A sostegno delle indagini gli investigatori raccolsero all’epoca intercettazioni, ricevute e tanti documenti tra cui «il mastrino delle tangenti» trovato in un ufficio di D’Alessandro e sequestrato: file con nomignoli, date e cifre abbinate a «orso marsicano» e a «militare coccia pelata», le espressioni che, all’epoca, condussero a Di Cristoforo, originario della Marsica, e a Basciano. Il filone dell’esercito. Nel suo atto d’accusa D’Alessandro aveva tirato in ballo anche il tenente colonnello dell’esercito Basciano a cui la procura contesta che, in qualità di responsabile del Nucleo Contratti dell’ispettorato infrastrutture dell’esercito, avrebbe «ottenuto dazioni per il 5% dell’importo degli appalti aggiudicati, circa 19 mila euro». In questo caso sotto la lente degli investigatori sono finiti i lavori svolti nella caserma Clementi di Ascoli e quelli della caserma Falcinelli di Ancona per 400 mila euro. I 4 avranno adesso 20 giorni di tempo per presentare memorie difensive e, poi, la procura deciderà se chiedere o meno il rinvio a giudizio.