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Data: 30/06/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Per le società pubbliche lo Stato spende 26 miliardi». Il nuovo allarme della Corte dei Conti: in perdita almeno un terzo di quelle locali per le quali si studiano processi di fusione e aggregazione

ROMA Troppe, spendaccione, spesso inutili e talvolta anche governate in maniera discutibile. Il governo punta ridimensionare la galassia delle società partecipate dallo Stato e la Corte dei Conti conferma che il problema c’è. E va affrontato subito con energia. Non è la prima volta che questi enti finiscono nel mirino dei magistrati contabili. Ma stavolta la censura è più robusta che in passato. A cominciare dai numeri. Non sono le 10 mila delle quali ha parlato l’uomo della spending review Carlo Cottarelli. Però le 7.500 certificate dalla Corte appaiono in ogni caso eccessive. Si tratta di settore connotato da scarsa trasparenza che, ha sottolineato il procuratore generale Salvatore Nottola nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato, «hanno un forte impatto sui conti pubblici, sui quali si ripercuotono i risultati della gestione, quando i costi non gravano sulla collettività, attraverso i meccanismi tariffari»
GLI ILLECITI PENALI
Certo, qualcosa è stato già fatto in passato per correggere la rotta. Nel 2013 le partecipate sono costate allo Stato 26 miliardi contro i 30,5 di due anni prima, con un risparmio finanziario di 4,5 miliardi. Tuttavia, a giudizio dei togati, i risultati di questa cura dimagrante stati «solo in parte positivi». Basti pensare che un terzo degli oltre 5 mila enti partecipati dagli enti locali (50 sono quelli dallo Stato e 2.200 enti vari come consorzi e fondazioni) presenta ancora conti in rosso. Nella sua requisitoria, la Corte dei Conti spiega che un mondo così variegato e ricco di implicazioni richiederebbe «una assoluta trasparenza del fenomeno». Ma nella realtà le cose vanno in direzione opposta. L'assetto delle società è infatti mutevole e soggetto a vicende complesse, con aspetti contabili che sono «spesso oscuri». Inoltre, specialmente nelle società in house, la carenza di controlli favorisce episodi di cattiva gestione che sfociano «non di rado di illeciti anche penali». Così parte un rinnovato invito a cambiare rotta «attraverso un disegno di ristrutturazione organico e complessivo che preveda regole chiare, forme organizzative omogenee e criteri razionali di partecipazione».
LA SPENDING REVIEW
Una riforma strutturale che possa assicurare allo Stato un reale potere di controllo per riuscire a colpire «le responsabilità dell'effettivo governo degli enti partecipati». L’analisi della Corte dei Conti cade in una fase cruciale sul futuro delle società partecipate. Entro luglio la commissione sulla spending review è chiamata a presentare un piano di riorganizzazione e alcuni giorni fa il commissario Carlo Cottarelli, spiegando che questi organismi causano una perdita di 1,2 miliardi di euro alle casse pubbliche, ha rinnovato il suo impegno ad intervenire. Cottarelli ha comunque sottolineato la diversità tra le società che gestiscono servizi strumentali ai controllanti e alle quali «bisogna chiudere i rubinetti'» e quelle che gestiscono servizi pubblici locali. Per queste ultime si studiano processi di fusione e aggregazione. Interventi rapidi sono stati invocati dal fronte politico. «Il governo deve agire perché non si può accettare che per mantenere in vita carrozzoni clientelari i cittadini siano obbligati a pagare tasse per servizi inefficienti» ha detto il vice presidente del Senato di Sc, Linda Lanzillotta. Mentre il presidente dei senatori Ncd, Maurizio Sacconi, ha proposto di inserire in Costituzione l'obbligo di mettere a gara i servizi locali.

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