PESCARA Si scrive Teodoro si legge Doroteo. Ma se lo chiedete al diretto interessato, vi risponderà che si tratta solo di un diabolico anagramma «perché io - spiega Gianni Teodoro - non mi riconosco nella corrente dorotea della Democrazia cristiana». Il più attivo in politica della famiglia rivendica, invece, tutt'altri natali: «Mi sono iscritto alla Dc nel 1980, a 16 anni, allora era quella l'età minima per prendere la tessera. Il mio cuore ha sempre battuto per lo scudocrociato fin quando è esistito il partito, agli inizi degli anni Novanta». L'adesione alla Dc, rivela, avvenne sulla spinta di amici comuni pescaresi e fu dettata, soprattutto, «dall'esempio dei più grandi statisti che abbiamo avuto: Alcide De Gasperi e Aldo Moro». La corrente dorotea nacque nel 1959 ed ebbe in Mariano Rumor, Emilio Colombo e Paolo Emilio Taviani i suoi esponenti di spicco, con una partecipazione più defilata di Aldo Moro, che infatti ne uscì dopo aspri dissensi nel 1968. Nell'esegesi politica comune, doroteo è divenuto un aggettivo per indicare il democristiano più moderato. I dorotei furono una delle correnti politiche più rilevanti del partito. Per tradizione e cultura politica, l'area dorotea si è sempre collocata su posizioni rigidamente anticomuniste, attente alle ragioni delle gerarchie ecclesiastiche e del mondo industriale. I dorotei hanno assunto storicamente un ruolo centrale nella dialettica fra le varie anime della Dc. Inseriti tra una destra interna di scarsa rilevanza e un'area di sinistra molto influente, i dorotei rappresentavano l'elettorato cattolico e gli interessi del ceto medio avverso al comunismo. Nei lunghi anni di attività politica e di governo della Democrazia Cristiana, la corrente dorotea ha affrontato trasformazioni, scissioni e contrasti al proprio interno. Tuttavia il doroteismo ha rappresentato un approccio, prima di tutto politico e culturale, che è stato sempre largamente presente all'interno del partito. E comunque, nell'immaginario collettivo della politica italiana, al termine doroteo è sempre stata data un'accezione negativa, anche spregiativa, dagli altri partiti e persino dalla cosiddetta sinistra democristiana. Ora, Teodoro si ritiene un moderato, ma non un doroteo e quando riflette al fatto che l'anagramma del suo cognome rimanda alla corrente più conservatrice della Dc, un po' sorride un po' mastica amaro. «Non ci avevo mai pensato ed è una cosa davvero singolare. Posso dire solo che nella Dc io ci sono stato dai 16 ai 25 anni, e le divisioni marcate fra le varie correnti del partito a livello locale erano molto più sfumate. Per cui sinceramente non posso dire di aver fatto parte di questa o quella corrente, restando sempre fedele nel cuore e nella mente allo scudocrociato». A pensare male si commette peccato, ma è inevitabile chiedergli cosa c'entra la lezione di De Gasperi e Moro con l'adesione politica una volta alla destra e una volta alla sinistra, quale quella manifestata dalla famiglia Teodoro negli ultimi vent'anni. «So dove vuole andare a parare, ma non ci casco. So che per molti pescaresi questo modo di fare politica viene etichettato come trasformismo, ma la realtà è un'altra. Chi conosce la storia della nostra famiglia sa che i Teodoro sono sempre rimasti coerenti alla linea del sostegno alle classi sociali meno abbienti. Questa linea non può avere pregiudiziali ideologiche, quindi se un'Amministrazione si mostra più sensibile verso queste istanze noi siamo pronti a sostenerla, a prescindere dal fatto sia di centrodestra o di centrosinistra. Questo fatto dovrebbe già dimostrare la nostra lontananza dagli steccati ideologici, ma so che molta gente la pensa diversamente, e io la rispetto». Una scrollatina di spalle e se ne fa una ragione, renzianamente parlando perché lui continua a firmarsi e a chiamarsi Teodoro, non Doroteo.