ROMA Riforme, avanti tutta. Due ore di faccia a faccia a palazzo Chigi fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi hanno rilanciato in grande stile quel processo riformatore che dovrà portare a un nuovo Senato e a una nuova legge elettorale, processo che rischiava di arenarsi dopo la tornata elettorale. E invece no. «Il patto del Nazareno tiene ed è stato riconfermato», annunciava al termine dell’incontro Lorenzo Guerini, il vice segretario del Pd, di scuro vestito da cerimonia, l’unico ad affiancare Renzi mentre di là del tavolo ad accompagnare il Cavaliere c’erano Gianni Letta e Denis Verdini. L’accordo prevede due punti di fondo, veri architrave del cantiere riformistico: il nuovo Senato non dovrà più essere elettivo e, secondo, l’impianto della nuova legge elettorale rimane l’Italicum. Tradotto: a palazzo Madama siederanno rappresentanti degli enti locali e non più parlamentari eletti direttamente dai cittadini, che era e rimane il punto decisivo dell’impostazione renziana. Quanto alla legge elettorale, come spiega Guerini, «il doppio turno eventuale e il premio per chi arriva primo sono i punti decisivi riconfermati». Le preferenze? «Se ne potrà discutere, ma abbiamo convenuto che si accettano solo quelle modifiche che vanno bene ai partner contraenti del patto, e al momento le preferenze non sono né volute né condivise da Forza Italia». Le vorrebbero, al momento, i grillini e settori di minoranza del Pd («le liste bloccate non vanno bene», conferma il bersaniano D’Attorre).
LE IPOTESI
Tra le modifiche possibili, e percorribili, ci sono le soglie. Spiega ancora Guerini: «Berlusconi ha capito che alzare la soglia al 40 per cento per il doppio turno a questo punto conviene soprattutto a lui, noi con il 37,5 per cento com’è adesso vinceremmo al primo turno, ma bisogna pensare a un impianto di sistema, non a chi può vincere la prossimo volta». A seguire potrebbero essere modificate anche le altre soglie per chi si coalizza e chi no; quel che conta è che le voci e i sussurri che volevano l’Italicum ormai caduco per impercorribilità berlusconiana («rischiamo che al secondo turno vada Grillo e non noi», si temeva prima delle europee dalle parti forziste) sono state superate dagli avvenimenti, dai numeri e dalla politica (il centrodestra mantiene capacità aggregante e può sempre ridiventare competitivo, il grillismo è in caduta e non ha alcuna capacità coalizzante). Non è un caso che Beppe Grillo si sia messo a tuonare contro l’intesa di palazzo Chigi: «Renzi incontra il noto pregiudicato, non è affidabile, è peggio di Scajola», bacchettava sul blog. Ma si beccava la rasoiata di Roberto Giachetti: «Matteo è alle prese con le gelosie di un noto pregiudicato, è una lotta tra noti pregiudicati». Scaramucce che hanno portato allo slittamento dell’incontro tra Pd e Cinquestelle, annunciato per la giornata e fissato solo per lunedì prossimo (sempre che non intervengano rotture nel frattempo).
I TEMPI
Ultima intesa, non meno importante, è che sulla legge elettorale si accelera: subito dopo l’approvazione in prima lettura della riforma del Senato si incardinerà l’Italicum, ma non solo in commissione come era sembrato fino a ieri, bensì anche in aula, con l’obiettivo di una approvazione prima delle vacanze estive. C’è poi un ricasco politico: le fronde, le dissidenze interne ai due partiti sono state di fatto isolate, dimostrando ancora una volta la tesi che più il patto Pd-FI regge, meno le fronde hanno peso. Berlusconi ha riunito i parlamentari forzisti subito dopo l’incontro con Renzi, e lì c’è stato un confronto serrato (hanno parlato contro Minzolini e altri), ma si è convenuto che alla fine chi dissente si uniforma alla linea decisa da Berlusconi, «dobbiamo evitare di dividerci». E il Cav ha deciso di non decidere, per ora non c’è stato alcun voto. «Rifletterò e deciderò la prossima settimana», ha annunciato, quando i parlamentari forzisti si riuniranno per una seconda assemblea.