ROMA Non è solo una questione di lentezza per la quale i mezzi pubblici locali italiani guadagnano la maglia nera in Europa (20 km all’ora nei tratti urbani), dietro a Gran Bretagna e Francia (entrambe 24 km), ma anche Germania e Spagna (21-22 km). Tram e autobus e treni regionali italiani sono famosi per mandare in rosso i bilanci delle municipalizzate che se ne occupano, visto che il 41% delle 250 più grandi imprese è in default (tra il 2006 e il 2012 hanno accumulato un rosso di 1,44 miliardi nelle principali utilities analizzate da Mediobanca R&S). Ma i mezzi pubblici sono ben noti anche per la longevità inedita nel resto d’Europa (un mezzo di trasporto arriva a vivere 12 anni rispetto a una media europea di 7). Di qui l’urgenza di una riforma del settore, illustrata ieri dal viceministro alle Infrastrutture e ai trasporti, Riccardo Nencini come «un cambiamento radicale e innovativo» che punta a un trasporto più efficiente, con aziende in regola ed un parco mezzi moderno, passando dall’esclusione della voce Trasporto Pubblico locale dal Patto di stabilità. Una manovra che interesserà le numerosissime imprese (quasi 1.100 con bacini di utenza frammentati) e i 14,5 milioni di cittadini che ogni giorno si servono dei mezzi pubblici locali.
«Le linee generali della riforma», ha assicurato Nencini chiudendo l’assemblea dell’Anav a Giardini Naxos, «sono già state valutate dall’Anci e dalla Conferenza delle Regioni e sottoposte all’attenzione di sindacati e associazioni di categoria».
Il punto di partenza della riforma sono i numeri. Per esempio, i ricavi del TPL coprono il 30% dei costi e i sussidi pubblici il 70% (il concorso del Fondo nazionale ammonta a circa 5 miliardi all’anno), rispetto alla media europea in cui la percentuale è del 50%. Basta pensare che in Italia sono 16 mila i chilometri per addetto rispetto ai 19.700 Km in Europa. E anche in Italia il gap è larghissimo, visto che si contano 17 mila chilometri per addetto a Bologna, contro i 9.500 a Napoli.