ROMA La Cgil non ci sta. Sugli esuberi l’accordo con Alitalia non si può fare. Il «no» ufficiale del leader Susanna Camusso e del segretario generale della Filt Franco Nasso arriva alle cinque della sera, appena qualche minuto dopo l’ennesima convocazione dei sindacati al ministero dei Trasporti. Tavolo fissato per le 21. Inevitabile, nuova maratona notturna evidentemente condizionata dal veto della confederazione di corso d’Italia. «Confermiamo - si legge nella lettera indirizzata ai ministri Lupi e Poletti - la non sottoscrizione dell’intesa così come si è determinata il 12 luglio 2014. Le modalità di trasferimento del personale e la conseguente angosciosa prospettiva del licenziamento avviene peraltro attraverso soluzioni di dubbia legittimità che l’azienda dovrà affrontare. Eppoi le ipotesi di ricollocazione appaiono incerte» anche se il progetto con Etihad è buono.
VIA STRETTA
Possibile, anzi probabile, che una quadra alla fine verrà individuata, magari il 25 luglio in concomitanza con il cda di Alitalia (come prevede l’amministratore delegato, Gabriele Del Torchio). E che, verosimilmente, possa essere un accordo separato, cioè senza la firma di Filt/Cgil e Usb. «Comunque si andrà avanti - assicura il ministro dei Trasporti Lupi - perché sottoscritto dal 50% più uno dei rappresentanti sindacali. L’alternativa sarebbe il baratro». I nodi da sciogliere restano sostanzialmente tre: il contratto unico di settore che le sigle del personale navigante respingono; gli strumenti per ridurre il costo del lavoro di 31 milioni; il numero degli esuberi. Su quest’ultimo punto, cioè sull’intesa raggiunta sabato scorso, resta il no della Cgil. Esso prevede che su 2.251 dipendenti, 616 siano ricollocati nel perimetro aziendale, 681 esternalizzati entro il 31 dicembre, 954 posti in mobilità. Ed è proprio il ricorso alla mobilità - anziché alla cassa integrazione - che la Cgil respinge, temendo che i lavoratori interessati vengano, di fatto, espulsi. Il personale navigante, invece, boccia un eventuale contratto di lavoro nazionale, reclamando un trattamento diverso che tenga conto della specificità di settore: «I sacrifici economici graverebbero per oltre l’80% su piloti e assistenti di volo». In effetti, per arrivare ai 31 milioni di risparmi previsti da Alitalia, si procederebbe all’applicazione di contratti di solidarietà per i dipendenti che percepiscono retribuzioni tra i 20.000 e i 90.000 euro, in una percentuale che va dal 4% al 10%, secondo il peso delle buste paga. Nonché a un taglio, non quantificato, delle tredicesime. E sullo sfondo c’è lo scoglio Ue che ha avvertito più volte: Alitalia deve restare italiana. Sarà un’altra battaglia come paventa il presidente dell’Enac, Vito Riggio: «Non credo che l’esame andrà liscio di fronte alla forte opposizione, di tipo protezionistico, di Lufthansa e British».
Alitalia, Hogan: chiudere entro luglio
Il ceo di Etihad ottimista ora vogliamo costruire una grande compagnia
ROMA Nel giorno in cui la Cgil ufficializza il suo no, peraltro scontato, getta acqua sul fuoco delle polemiche il ceo di Etihad James Hogan. «L’obiettivo - spiega - è chiudere entro fine mese, se poi servirà più tempo questo è previsto dall’accordo». Concede quindi i supplementari nella partita a scacchi tra Alitalia e i sindacati il manager con la fama del duro della compagnia araba. Più preoccupato invece Gabriele Del Torchio, ad di Alitalia, che teme un epilogo drammatico proprio ad un passo dal traguardo. Non tanto per il niet sindacale ma perchè le Poste potrebbero non mettere mano al portafoglio (circa 70 milioni) e lasciare un bel buco nell’operazione di rifinanziamento in cantiere.
OTTIMISMO ARABO
L’aria della Capitale (oggi veniva presentato il volo diretto con Abu Dhabi) e l’approccio con la realtà tutta italica del sistema di relazioni sindacali devono aver convinto Hogan che magari è opportuno affidarsi alla linea morbida piuttosto che cercare la mischia. E lui, grande appassionato di rugby, di mischie sì che se ne intende. Il numero uno di Etihad conferma tuttavia che i tempi per chiudere l’intesa non potranno avere cadenze bibliche: lo consigliano le regole del complicato e agguerrito mercato del trasporto; lo richiedono le strategie aziendali del vettore arabo; lo impongono le scadenze politiche, a cominciare dall’esame di Bruxelles (previsto tra una settimana) sulla legittimità delle condizioni dell’alleanza tra la ex compagnia di bandiera e quella emiratina. Il James Hogan che si presenta in conferenza stampa per la inaugurazione del primo volo diretto Fiumicino-Abu Dhabi ostenta grande disponibilità e dispensa sorrisi. Spiega che i tempi della trattativa possono essere allungati: «Ne abbiamo appena finita una in India che doveva durare sei mesi ed è durata dodici, quindi possiamo affermare che stiamo andando bene». Poi, a rafforzare il concetto, puntualizza: «Sono qui a Roma per far capire che siamo intenzionati ad arrivare a un accordo. Vogliamo acquisire il 49% di Alitalia».
IL NODO POSTE
Proprio il top manager ha incontrato in serata il presidente di Poste, Francesco Caio, per trovare una soluzione al nodo ricapitalizzazione e contestualmente parlare di sinergie. Il rischio, se Poste dovesse sfilarsi come appare probabile, è che siano proprio le banche a sostenere il nuovo onere. Sugli esuberi Hogan dribbla la domanda: «Io non partecipo al confronto ma dobbiamo ridurre il numero di dipendenti». Lascia quindi spazio all’ottimismo: «In futuro ci saranno nuove opportunità di lavoro nella compagnia». Il passato? «Non posso essere io il responsabile». E aggiunge: «vogliamo avere una redditività di lungo periodo, vogliamo rivitalizzare il brand Alitalia, così come la rete e i servizi. Alitalia può diventare una delle migliori compagnia del mondo. In passato i soci dell’aviolinea non si sono comportati al meglio, noi invece vogliamo il meglio come investitori, ma bisogna essere chiari sulla linea da seguire».