ROMA La parola d’ordine è: non reagire alle provocazioni, in attesa dell’opportunità giusta per entrare nel merito delle questioni. E, casomai, cercare l’incidente in aula. Così, ieri, il pressing del dissenso interno a Forza Italia sulla riforma costituzionale, si è stemperato in mille telefonate, incontri a due, a tre, comunque in ordine sparso. I campani guidati da Vincenzo D’Anna si sarebbero visti nel tardo pomeriggio; altri senatori si sono riuniti per cena; Augusto Minzolini, ostinatamente sulla linea del “no” era in palestra. E Raffaele Fitto, collettore del malcontento e teorico delle primarie, è rientrato da Strasburgo ma si è trincerato dietro a un no comment, cancellando tutte le uscite ufficiali, dalla presentazione del libro di Daniele Capezzone, rinviata alla prossima settimana, come la puntata di “Linea notte” che avrebbe dovuto ospitare il recordman di voti pugliese.
BASSO PROFILO
Nessuna autoconvocazione dei malpancisti, dunque, non prima che passi la buriana giudiziaria dell’appello del processo Ruby contro Silvio Berlusconi, che domani va a sentenza. Un profilo basso quanto basta per non rischiare l’accusa di tradire il Cavaliere, proprio nel momento del bisogno. La prima, martedì sera, a suggerire di non alzare le barricate, sarebbe stata Renata Polverini che, insieme con Saverio Romano, alla Camera ha condiviso sin qui i dolori dei colleghi di Palazzo Madama contrari a un Senato non elettivo. Ma che a Fitto ha detto: «Ragioniamo, aspettiamo un attimo. L’appello di Berlusconi è stato accorato, come la sua richiesta di fiducia. Prendiamoci una pausa per riflettere». Non sarebbe stata sola, in questa richiesta. E Fitto, annusando una possibile trappola, avrebbe frenato: «Non rispondete alle provocazioni, evitiamo lo scontro diretto che pure il Cavaliere ha cercato battendo il pugno sul tavolo e minacciando di espellerci. La riunione dei parlamentari doveva diventare una cagnara e invece sono rimasti con il cerino in mano», ha spiegato Fitto ai suoi.
ALTA TENSIONE
Non gli è sfuggito che Berlusconi ha convocato i gruppi proprio il giorno in cui gli europarlamentari sarebbero stati impegnati, come non ha gradito che lo abbia sfidato proprio sul terreno del prendere o lasciare, laddove Fitto, nella sua lettera aperta pubblicata alla vigilia dell’incontro, gli avesse chiesto di «non porre la questione di fiducia sui temi di merito». Una cosa è certa: i dissenzienti non puntano all’ennesima rottura o scissione, semmai l’obiettivo di Fitto è proprio quello di dare la scalata a Forza Italia. E, dunque, non ha alcun intenzione di abbandonare il partito. Nemmeno a fronte della minaccia lasciata intuire da Berlusconi, e confermata ieri dai suoi fedelissimi: «Chi non rispetta la linea, è fuori». Che, nel linguaggio berlusconiano, significa: scordatevi un posto in lista al prossimo giro elettorale. Il gotha forzista è certo che la minaccia di epurazioni sia un ottimo deterrente e che, alla fine, alla conta delle riforme, mancheranno al massimo una quindicina tra senatori e deputati: «Pure Renato Brunetta è rientrato. A fare polemica resteranno Minzolini e Bonfrisco, che si sono intestati la battaglia. E qualche ex cosentiniano che sa di non avere più spazio di manovra. Fitto non romperà certo su temi singoli», commentava perfidamente una fonte vicina al Cavaliere.
COMUNICAZIONI INTERROTTE
Di sicuro, per ora Berlusconi di Fitto non vuole sentire parlare: i due non si parlano vis à vis da un paio di mesi, e non per scelta dell’europarlamentare. A fare da tramite tra i due, il consueto Denis Verdini con cui, però, le affinità di vedute sono davvero al lumicino. Il Cavaliere è convinto che oramai il fronte del “no” sia sconquassato.
Anche perché, nelle ultime 24 ore, i malpancisti sono stati contattati uno a uno dallo staff del leader: chi per un invito in tv, chi per un appuntamento rinviato da tempo, ogni scusa per richiamarli all’ordine è andata bene. E, c’è da scommetterci, prima o poi una telefonata arriverà anche a Fitto. Ma più avanti: «Non è ancora tempo, lasciamo che la vicenda maturi», confermavano ieri le stesse fonti. Sempre che nelle pieghe dei settemila emendamenti, non ci sia una falla che faccia saltare il banco. O che imponga un successivo referendum.
Capezzone, dai dolci per Dudù alla cacciata
MILANO Liquidato con una battuta dopo otto anni di onorato e fedelissimo servizio: «Vai, vai pure con Fitto» intima il Cavaliere furioso a Daniele Capezzone durante l’assemblea dei gruppi parlamentari di Forza Italia. E lui impietrito, silente, incredulo. Come chi scopre all’improvviso che dopo una vita spesa a far da sentinella ai voleri del capo e a spedire nell’elenco dei cattivi i suoi detrattori si può finire a propria volta fra gli indesiderati in un istante. Basta un semplice: «Io non sono d’accordo».
QUANDO RUPPE CON PANNELLA
A onor del vero Capezzone già in passato aveva osato alzar la cresta contro un padre padrone. Divenuto segretario del Partito Radicale su designazione del dominus Marco Pannella si esibì in alcuni vagiti di dissenso e fu buttato a mare. Era il 2006, lui poco più che trentenne non si perse d’animo e cercò nuovi approdi. Taluni sostengono perfino che la decisione di recidere il cordone ombelicale che lo legava a colui che lo aveva generato (politicamente) fu uno stratagemma per entrare alla corte di Arcore evitando accuse di trasformismo.
Sia come sia, Capezzone si è trovato a perfetto agio nelle stanze berlusconiane. Entrato col ruolo di semplice portavoce (prima del Pdl poi di Forza Italia), ha via via guadagnato posizioni profittando degli arretramenti altrui e sostenendo con pervicacia l’elementare tesi secondo cui «il capo ha sempre ragione». Fino a scoprire, adesso, che l’assenza di riconoscenza colpisce tutti in politica, compresi i sudditi più devoti e i sicari più spietati.
Se c’era qualcuno che provava a far ombra al Cavaliere, Capezzone si ergeva a sua difesa come un mastino. Lo sa bene Gianfranco Fini che all’apice del dissidio con Silvio venne brutalmente colpito dal portavoce del partito: «Fini non può nascondere che la sua unica bussola è un’ostilità personale, livorosa e ossessiva alla persona del Premier, il tutto sulla pelle del paese». Stesso trattamento, anni dopo, per Alfano e quelli dell’Ncd: «Stanno comprando tempo per compiere l’assassinio di Berlusconi».
Per non parlare dei magistrati, degli avversari politici, degli alleati troppo autonomi. Tutti sottoposti al «trattamento Capezzone» che con fiera antipatia si è fatto artiglio del capo, graffiando in vece sua, stilettando chiunque capitasse a tiro come quando si esibì nella redazione di un istant-book per prendere di mira Julian Assange, additato al pubblico ludibrio per aver diffuso documenti riservati delle diplomazie internazionali che mettevano in cattiva luce Berlusconi: «Un atto d’amore nei suoi confronti» spiegò.
«VAI, VAI CON FITTO»
Quando non aveva nessuno da rimbrottare, si adoperava in altri modi per conquistare i favori del padrone di casa. C’è chi ha addirittura raccontato che pur di essere ben accolto da Dudù, il cagnolino della Pascale che si metteva ad abbaiare ogniqualvolta lo vedeva, gli abbia somministrato di nascosto quantità industriali di biscotti per ingraziarselo. Forse solo una leggenda metropolitana, di quelle che si fanno circolare per spiegare carriere difficilmente spiegabili e che sembrano destinate a non finire mai. Fino a quando il capo non emette la sua drastica sentenza: «Vai, vai con Fitto. E andatevene tutti e due».