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Data: 28/07/2014
Testata giornalistica: Il Tempo
Intervista a Claudio Tarlazzi (*) - «Se gli arabi lasciano Alitalia non è colpa del sindacato. Chiaro?»

«Se Etihad lascia Alitalia non sarà certo perché stiamo chiedendo, come sindacato di maggioranza della compagnia italiana, di avere un tempo più lungo sul quale spalmare i sacrifici richiesti e di considerare le specificità del personale navigante». Risponde così a Il Tempo, Claudio Tarlazzi, da poco riconfermato segretario nazionale della Uiltrasporti, alle polemiche seguite allo stop delle trattative sul costo del lavoro di Alitalia che hanno rimesso in discussione l’alleanza con Etihad.
Si rende conto che così facendo la compagnia degli Emirati potrebbe dire a addio all’alleanza?

«Le polemiche sono solo un pretesto per addebitare alle organizzazioni dei lavoratori delle responsabilità che fanno capo solo agli azionisti di Alitalia».
La sensazione che l’opinione pubblica ha è che, come al solito, per rivendicare i privilegi di alcuni vogliate far saltare il banco.

«Non è così. E lo dimostra il fatto che quello che Etihad aveva chiesto come condizione essenziale per entrare in Alitalia, e cioè la riduzione dell’organico, l’abbiamo sottoscritto quindici giorni fa. Una cosa che altre sigle non hanno fatto».
Allora qualcuno sta barando?

«La riduzione del costo del lavoro e la nuova parte normativa del contratto nazionale del comparto, punti sui quali abbiamo fatto presente la nostra contrarietà, le ha chieste Alitalia e non Etihad. Faccia lei».
Non sono tutti tasselli di un unico mosaico per chiudere una trattativa che va avanti da mesi e che sembra non finire più?

«Allora chiariamo. La richiesta degli arabi era quella relativa agli esuberi. Gli altri dossier richiesti dall’azienda, ancora tutta italiana, sono indipendenti e riguardano la riduzione del costo del lavoro e la definizione del contratto nazionale».
Due punti sui quali la rivendicazione sembra assumere caratteri vagamente corporativi.

«La Uil sta per diventare il primo sindacato in Alitalia (oggi circa 200 piloti dovrebbero sancire l’uscita dalla Ugl per confluire nell’organizzazione guidata da Tarlazzi n.d.r) abbiamo piloti e personale di terra oltre agli amministrativi. L’azienda è in un momento di transizione ma deve tenere conto delle nostre posizioni. Mi sembra normale. Quello che chiediamo è negoziare, non vogliamo rompere».
Allora chiariamo una volta per tutte su cosa non siete d’accordo.

«Il primo punto è il tempo a disposizione per consentire i risparmi di 31 milioni di euro all’azienda. Sei mesi sono un periodo troppo breve e i tagli in busta che i lavoratori devono sopportare troppo elevati».
Soluzione proposta?

«Una dilazione. Non sei mesi ma 12 o anche qualcosa in più».
Non sembra un problema insormontabile?

«Lo pensiamo anche noi».
Secondo punto contestato?

«Una diversa rappresentanza degli interessi del personale navigante e di quello di terra».
Questo sa un po’ di corporativo. I lavoratori sono tutti uguali o per la Uiltrasporti no?

«Queste categorie sono minoritarie in termini numerici ma rappresentano delle esigenze specifiche che vanno in qualche modo salvaguardate. Attenzione non lo diciamo solo noi. Anche il codice della navigazione sancisce queste differenze».
Ma così si creano delle disparità di trattamento all’interno del sindacato? «È una sensazione sbagliata. Lavoriamo per evitare che ci creino situazioni di prevaricazione di una categoria sulle altre. Il sindacato tutela tutti nel rispetto delle differenze». Chi non è addentro alla materia forse non capisce. Può provare a spiegare meglio qual è il nodo? «Non mi voglio addentrare perché diventerebbe complicato e tecnico. Ribadisco che vanno salvaguardate alcune specificità di chi lavora in un’azienda complessa come Alitalia». Così spiegata sembra abbiate ragione da vendere. Ma perché gli altri non vi seguono. Non è che alla fine siamo alle solite guerre di religione tra le sigle? «Mi preoccupo dei lavoratori e delle lavoratrici che aderiscono alla Uil Trasporti e penso che gli altri facciano lo stesso. Non entro nelle loro scelte». Non c’è il rischio che Etihad dica addio all’Italia?

«Il fallimento dell’alleanza non dipenderà certo dalle questioni del lavoro. Non sono affatto preoccupato. La dimostrazione è nel fatto che Alitalia aveva fissato la deadline per l’accordo il 25 luglio scorso. Dopo, si sarebbe aperto il baratro. La deadline è passata e nessuno si è tirato indietro. Segno che le pressioni a volte sono strumentali».
Ma voi i rappresentanti di Etihad li avete mai visti?

«Mai. Nessuno contatto diretto».
Ma insomma di chi è la colpa dell’impasse?

«Di chi ha portato l’azienda in questa situazione. Sono i conti a indicare le responsabilità. Lo scorso anno Alitalia ha perso 560 milioni di euro. Nei primi tre mesi dell’anno il rosso è di circa 100 milioni. Si capisce da questi numeri il bisogno di liquidità che ha il management e le pressione per chiudere l’accordo. Quando è chiaro che sui due punti contestati dalla Uiltrasporti basterebbe la semplice applicazione del buonsenso per superare le divergenze».
Il ministro Lupi che vi ha dato dei marziani vi convocherà. Cosa vi aspettate?

«Semplicemente che ascolti le nostre contestazioni. Non mi sembra siano delle condizioni impossibili da risolvere».

(*) Segretario nazionale della Uiltrasporti

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