L’AQUILA Se il turismo abruzzese è ancora all’anno zero, come ha detto il sindaco dell’Aquila Cialente paventando la possibilità che salti la stagione sul Gran Sasso, dove gli ambientalisti contestano gli ammodernamenti, o se si debba seguire il «modello Salento», come ha invece invocato il vice presidente della Regione Lolli, solo il tempo potrà dirlo. Fatto sta che dal rapporto del Cresa presentato al Gran Sasso Institute dell’Aquila, emerge una visione paradossale, di una regione con ottime potenzialità, ma che non riesce a decollare. Lontano l’obiettivo della crescita del 4% annuo delle presenze (in realtà c’è una contrazione), così come quello di raggiungere la media nazionale degli arrivi stranieri, l’Abruzzo continua ad essere una regione duale, con la costa e la montagna che viaggiano su binari paralleli e distanti. Da qui si comprende l’appello lanciato da Federalberghi (Giammarco Giovannelli) e Federturismo (Dario Colecchi) a fare squadra, a eliminare i compartimenti stagni, a snellire le norme. In realtà la Regione, come ha ricordato il dirigente Giancarlo Misantoni, dice di aver fatto tanto. Sia per quanto riguarda i fondi, sia per la programmazione. Ad oggi sono 13 le Dmc (destination management company) e una la Pmc (product managemente company) costituite, ovvero le Reti tra privati. Cresce la promozione sul web, ma alcuni slogan restano ancora tali, dietro c’è pochissimo. Roberto Mion ed Ernesto Paolo Alba hanno testimoniato due casi di successo. Ma per il presidente del Cresa Lorenzo Santilli «l’immagine che emerge è di una regione che continua ad essere affetta da vizi di fondo». Lo studio Cresa, condotto da Matilde Fiocco e Concettina Pascetta, è il terzo dopo quelli del ’94 e 2005, il primo in assoluto con dati estrapolati dal Centro con 216 imprese sondate. Il direttore Franco Prosperococco ne ha esaltato l’importanza: «È uno strumento utilissimo per i decision maker che dovranno elaborare le politiche di settore negli anni a venire».