ROMA In un Paese che sta impoverendo e che «rischia la desertificazione» come avverte lo Svimez, le donne sono più povere degli uomini. Almeno quando si parla di pensioni. Oltre la metà (il 52%) non arriva neppure a mille euro al mese rispetto a un terzo (32,2%) dell’altro sesso. I conti in tasca agli italiani a riposo li fa l’Istat certificando che nel 2012 i trattamenti erogati sono stati 23.577.983: il 56,3% a donne e il 43,75 a uomini. Come dire che in Italia ci sono più pensionate che pensionati. L’assegno medio annuale è di 8.965 euro per le prime e di 14.728 per i secondi: una differenza di quasi la metà. Per 7,1 milioni comunque la retribuzione percepita non supera la soglia dei mille euro.
Scendendo nel dettaglio, il nostro istituto di statistica precisa che sono 178.000 i pensionati d’oro, cioè quelli che possono contare su un reddito pensionistico mensile pari o superiore ai 5.000 euro, ben cinque volte il numero delle donne che arrivano a quota 33.000. Le disuguaglianze di genere emergono anche dal punto di vista territoriale: esse sono più marcate nelle regioni del Nord (Liguria in testa con il 53,9%, seguita dal Lazio con 52,1%), sia rispetto agli importi medi delle prestazioni sia in relazione al reddito dei beneficiari.
L’Istat nel suo rapporto spiega che nel 2012 in base agli oltre 23 milioni di trattamenti, quelli erogati alle donne arrivano al 52,9% dell’intera platea di pensionati (8,8 milioni su 16,6), ma che queste percepiscono solo il 44% dei 271 miliardi distribuiti. Ma al di là delle differenze retributive a spiegare la povertà degli assegni c’è l’alta tassazione. Secondo il Codacons le pensioni italiane sono le più falcidiate d’Europa con un prelievo medio del 20% contro lo 0,2% della Germania: «In Italia più di due milioni di cittadini vivono con una pensione inferiore ai 500 euro e quasi la metà dei pensionati riceve un assegno al di sotto dei mille euro».
Il rapporto tra numero di pensionati residenti e la popolazione occupata è a svantaggio delle donne: 90,2% pensionate ogni 100 lavoratrici a fronte di 56,5 uomini ogni 100 lavoratori. Anche il tasso di pensionamento (rapporto tra numero di pensioni e popolazione residente) è superiore tra le donne (43,1%) rispetto agli uomini (35,6%).
Un Paese di poveri pensionati, ma che rischia pure «la desertificazione umana e industriale». Si continua e emigrare e le nascite e il lavoro sono al minimo storico. Allarme rilanciato dal rapporto Svimez 2014 che fotografa un Mezzogiorno che arretra in una terra sempre più «spaccata, divisa, diseguale». Tra il 2008 e il 2013 il Pil del Sud «ha perso il 13,3% contro il 7% del Centro-Nord. Il divario della ricchezza pro capite è tornato ai livelli di 10 anni fa e se per il Centro Nord è prospettata una ripresa per il Sud no. Per il 2014 è attesa una crescita in Italia dello 0,6%, sintesi del +1,1% del Centro Nord e del -0,8% del Mezzogiorno. Così anche i posti di lavoro: +0,2% la stima 2014 per il Centro Nord, al Sud un -1,2% che se confermato porterà rispetto al 2007 a quasi 800.000 posti di lavoro in meno, -12%. Dallo Svimez arriva anche un indice puntato contro le politiche economiche: «Le manovre pesano più al Sud, l’impatto dei 109 miliardi delle manovre dei vari governi dal 2010 ad oggi sarà pari nel 2015 al 9,5% del Pil al Sud contro il 6% del Centro Nord, colpa soprattutto dei tagli alla spesa, il doppio».
Tra disoccupazione, emigrazione, povertà, nascite in caduta libera (180.000 nel 2013, come 150 anni or sono) si sfalda anche il tessuto sociale. Fosche anche le previsioni: «Il Mezzogiorno nei prossimi anni sarà interessato da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili...è destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni».