ROMA Conti pubblici sotto stretta osservazione: nonostante il discreto risultato del fabbisogno nel mese di luglio, le prospettive economiche non favorevoli spingono il governo alla prudenza in vista della legge di stabilità che dovrà essere definita entro metà ottobre. Se i numeri appaiono ancora in linea con le attese, nella seconda metà dell’anno sarà decisivo l’andamento delle entrate, condizionato da una dinamica produttiva che secondo i principali centri di ricerca sarà sostanzialmente piatta.
È significativa la prudenza del presidente mostrata ieri del Consiglio: pur volendo escludere qualsiasi «stangata» Renzi ha riconosciuto francamente di non poter garantire l’estensione del bonus da 80 euro a pensionati e partite Iva. «Ci proveremo», ha detto. L’altro giorno lo stesso premier aveva ipotizzato per il 2015 un rapporto deficit/Pil al 2,3 per cento, ossia tre decimali di punto più alto di quanto previsto nel Documento di economia e finanza (Def) di aprile. Un risultato che potrà essere ottenuto se arriveranno i 16 miliardi attesi dalla revisione della spesa. Insomma è chiaro che lo stentare della ripresa sta già condizionando il profilo dei saldi di finanza pubblica. Questo non vuol dire che il governo abbia già accettato l’idea di fare una manovra correttiva per l’anno in corso: un’iniziativa del genere oltre ad essere di dubbia utilità per i suoi effetti ulteriormente restrittivi ha delle chiarissime controindicazioni politiche.
L’analisi di sensitività inserita nello stesso Def, ossia la simulazione dell’impatto sui conti di scenari di crescita più o mano favorevoli di quello ipotizzato, portava a concludere che con un incremento del Pil dello 0,3 per cento (invece che dello 0,8) il rapporto tra deficit e Pil non andrebbe comunque oltre il 2,8 per cento. In questo momento una crescita di questa intensità, pur se minima, appare addirittura un obiettivo desiderabile; in ogni caso anche se le cose andassero peggio il governo per restare sotto la soglia del 3 per cento conta sulla minor spesa per interessi indotta dai bassi rendimenti pagati per i titoli di Stato e in qualche modo anche sul nuovo sistema contabile Sec 2010, che farà aumentare il Pil nominale al denominatore.
EFFETTI DI CALENDARIO
A luglio, ha fatto sapere ieri il ministero dell’Economia, il fabbisogno del settore statale si è fermato a 1,6 miliardi, contro gli 8,7 dello stesso mese del 2013. Su questo risultato hanno però influito effetti favorevoli di calendario dal lato delle spese. In particolare ci sono stati minori prelevamenti dai conti di tesoreria rispetto allo scorso anno, quando erano slittati da giugno sia rimborsi dei mutui degli enti locali sia mandati di pagamento ministeriali.
Per quanto riguarda invece le entrate, il Tesoro parla di «incassi sostanzialmente in linea con quelli registrati nell’anno precedente». Questa potrebbe non essere una buona notizia, visto che a luglio affluiscono nelle casse dello Stato i versamenti fiscali dell’autoliquidazione e dunque le grandezze in gioco sono già significative: per l’intero anno è attesa non una tenuta delle entrate ma un incremento di quelle tributarie di circa il 3 per cento in termini nominali e una crescita, pur se più modesta, anche dei contributi sociali. Sul risultato di luglio ha poi inciso positivamente anche il rimborso da parte di Mps della prima rata dei Monti Bond, grazie alla quota interessi.
IL RISULTATO CUMULATO
Sull’arco dei sette mesi, il fabbisogno cumulato di 42,9 miliardi risulta comunque più basso per circa 8,7 miliardi di quello del corrispondente periodo del 2013. Va naturalmente ricordato che questo indicatore è diverso dal deficit rilevante ai fini europei, ossia il cosiddetto “indebitamento netto”. In particolare il fabbisogno è un saldo di cassa e non di competenza: in questo periodo la differenza è rilevante perché nel conto di cassa entrano anche i pagamenti per il rimborso dei debiti della Pa. Inoltre i dati diffusi ogni mese dal ministero dell’Economia si riferiscono al solo bilancio dello Stato escludendo quindi Regioni, Comuni ed altri enti.