ROMA I dipendenti pubblici? Capiamo la loro insoddisfazione ma comunque hanno avuto gli 80 euro in busta paga. È questa la linea di difesa scelta da vari esponenti del governo di fronte alle proteste dei sindacati di categoria per la scelta di prolungare ancora il blocco dei contratti. Ma lo scambio tra queste due voci può avere un senso per il bilancio pubblico oltre che per i portafogli degli interessati? Qualcuno potrebbe osservare che i lavoratori privati - o almeno una buona parte di loro - hanno goduto di entrambe le maggiorazioni, pur se con rinnovi in questa fase certo non trionfali. Ed è altrettanto possibile controreplicare che nel decennio precedente al blocco i pubblici avevano regolarmente spuntato incrementi salariali più generosi. Limitando però il confronto alle grandezze finanziarie in gioco per il 2015, relativamente ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, l’importo che sarò loro erogato sotto forma di bonus Irpef (come conferma permanente di quello anticipato già a partire da maggio) non risulta troppo distante da quello che il governo ritiene necessario per i pagare i rinnovi.
I MAGGIORI ONERI
Quanti sono i dipendenti pubblici beneficiari degli 80 euro? Dati definitivi ancora non ce ne sono, ma nel maggio scorso il ministero dell’Economia aveva reso noto di aver preparato quasi 800 mila buste paga che contenevano la maggiorazione (completa o parziale). Considerando che il Dipartimento amministrazione generale del ministero dell’Economia gestisce gli stipendi di poco più di 1,5 milioni di lavoratori, ossia la metà del totale, e ipotizzando che la distribuzione reddituale della quota rimanente sia analoga, si può concludere che i destinatari dell’operazione siano stati più o meno il doppio ossia, 1,5 milioni. I quali quindi assorbono più o meno 1,5 miliardi sui 10 complessivamente necessari.
La quantificazione dei maggiori oneri richiesti da eventuali rinnovi contrattuali è stata invece fatta dal Mef nel Documento di economia e finanza dello scorso aprile. I numeri risultano dal confronto tra i conti pubblici a legislazione vigente, che derivano cioè dagli impegni presi per legge, e quelli a politiche invariate, che tengono conto di altre esigenze. Tra queste, vengono menzionati anche i rinnovi contrattuali per i trienni 2015-2017 e 2018-2020. La spesa per redditi da lavoro dipendente crescerebbe di 2,1 miliardi il primo anno, destinati poi a lievitare nei successivi: 4,5 quindi 6,6 e infine 8,6 nel 2018 che è l’ultimo anno di previsione del Def.
Dunque i lavoratori delle amministrazioni pubbliche perderebbero nel 2015 2,1 miliardi a fronte di circa 1,5 entrati con il bonus. Ovviamente però una quota consistente resterà comunque a bocca asciutta. Dal punto di vista del bilancio dello Stato va ricordato che la decisione di prolungare per un altro anno il blocco dei contratti non rappresenta un risparmio di spesa, proprio perché questi soldi non sono già scritti nelle previsioni determinate dalla legge, ma andrebbero appunto trovati. Missione alla quale evidentemente l’esecutivo ha rinunciato dovendo reperire proprio i circa 10 miliardi totali che servono per rendere strutturale l’erogazione degli 80 euro a tutti i lavoratori dipendenti con reddito fino a 24 mila euro l’anno (e una quota minore e decrescente a chi arriva a 26 mila). Circa 3 sono sulla carta già assicurati dalle misure di revisione della spesa già impostate lo scorso aprile, ma l’esecutivo dovrà mettere insieme qualcosa in più per finanziare anche misure, quanto meno parziali, a beneficio di pensionati e famiglie numerose.