La novità più clamorosa per segnare la rivoluzione delle partecipate locali sarebbe una proroga delle attuali concessioni, che le prime bozze ipotizzano addirittura fino a un periodo di 22 anni e 6 mesi e che avverrebbe a fronte di una quotazione in Borsa, al mercato telematico italiano, delle società pubbliche detenute da enti locali per almeno il 60% del capitale oppure per il 25% ma cedendo anche un altro 25% a un partner industriale scelto con gara europea.
Si chiama "allegato 12" ed è il capitolo del decreto sblocca-Italia in via di composizione che contiene le norme su riordino, quotazione e privatizzazione delle società pubbliche partecipate dagli enti locali. Le norme, che in parte arrivano dal "dossier Cottarelli" presentato dal commissario straordinario alla spending review il 4 agosto a Palazzo Chigi, ma tengono conto anche di altri contributi ministeriali (e di proposte della Cassa depositi e prestiti), non hanno ancora trovato una fisionomia unitaria e coerente, in vista del Consiglio dei ministri del 29 agosto che varerà il decreto legge. Ma indicano già chiaramente il percorso che il governo intende incentivare per voltare pagina nella disastrosa gestione dei servizi pubblici locali: scambio fra privatizzazione/quotazione e prolungamento delle attuali concessioni, agevolazioni ulteriori per la fusione delle microaziende pubbliche, assegnazione di fondi statali (fino a un tetto di 600 milioni nel biennio 2015-2016) per il finanziamento di investimenti infrastrutturali ed esenzioni dal patto di stabilità interno in favore degli enti locali che dismettano o quotino le proprie società, fondo ad hoc della Cassa depositi e prestiti per rilevare partecipazioni locali e premio in forma di benefici fiscali per gli investitori privati che detengano le quote del fondo per almeno 12 mesi, incentivi all'aggregazione degli attuali bacini di utenza per creare ambiti territoriali ottimali, almeno di scala provinciale.
Archiviata la balbuziente politica della "concorrenza per il mercato" sperimentata mal volentieri a partire dagli anni 90, con gare perlopiù andate deserte o che hanno riconfermato i vecchi incumbent (in attuazione di varie disposizioni fra cui primo fu il decreto Burlando del 1998 per il trasporto locale su gomma), il governo prova comunque a mandare in soffitta anche il decennio del predominio incontrastato e fallimentare delle aziende pubbliche in house, legittimato dall'emendamentto Buttiglione nel novembre 2003 (articolo 14 del decreto legge 209/2003). Lo fa cercando di innescare una politica virtuosa che punti ad attrarre nuovi capitali privati, industriali e finanziari, verso aziende dotate di una concessione certa, provando ad accrescere il valore dei cespiti mobiliari degli enti locali con il prolungamento delle concessioni (nelle relazioni si stima addirittura un valore aggiuntivo di 10 miliardi) e destinando obbligatoriamente il ricavato dell'operazione all'abbattimento del debito locale e al rilancio degli investimenti. Lo Stato è pronto ad assegnare agli enti locali una quota del fondo infrastrutture pari al valore della partecipazione ceduta per un totale di 300 milioni nel 2015 e 300 nel 2016. E a sottrarre questi investimenti degli enti locali al patto di stabilità interno.
Le nuove norme aprirebbero una "finestra di opportunità" limitata temporalmente al periodo 2014-2017 e toccherebbero soprattutto i settori del trasporto pubblico locale, dei rifiuti, dell'ambiente, mentre per il settore idrico si sta definendo un intervento legislativo che, lasciando intatti i poteri di regolazione dell'Autorità nazionale, di fatto possa portare a regime la legge Galli, a 20 anni dalla sua approvazione, passando alla gestione unica per ambiti almeno provinciali in tutta Italia (con poteri sostitutivi dei presidenti delle Regioni nei confronti degli enti locali che non dovessero adempiere all'accorpamento) e istituendo anche un fondo di garanzia per favorire gli investimenti dei gestori. Un tentativo di portare efficienza anche nelle regioni del Sud dove, con l'eccezione di Puglia e Basilicata e pochissime altre realtà, il nuovo assetto industriale dell'acqua e della depurazione/fognatura non è mai arrivato.
Il punto-chiave del circuito virtuoso che il governo vuole innescare, e anche il più delicato sul piano giuridico, è lo scambio fra la dismissione di partecipazioni e il prolungamento della concessione. Le relazioni mostrano la consapevolezza della necessità di raccordarsi al diritto europeo: vengono citati sia il regolamento 1370/2007 sul trasporto locale che prevedeva un tetto ai 22 anni e 6 mesi al periodo di concessione sia la direttiva Ue 2014/25 sulle concessioni che definisce un quadro normativo assai più rigoroso in materia di afffidamenti e durata delle concessioni, ma al tempo stesso ammette deroghe (solo fino alla scadenza dei termini già previsti della concessione in essere) in caso di ristrutturazioni societarie, comprese acquisizioni o fusioni.