ROMA «Porto casa le riforme, piaccia o meno ai signor no» e «ai tecnici della prima Repubblica che non ne hanno azzeccata una». Intorno al leader ruota la politica del Duemila e Matteo Renzi ieri sul palco della Festa dell’Unità di Bologna di leader ne ha portati altri quattro. Esponenti della sinistra francese, spagnola, olandese e tedesca. Tutti giovani e più o meno belli, giunti in Italia per apprendere l’arte della rottamazione. Tutti con la camicia bianca perché anche nel look sia evidente il richiamo a Tony Blair e John Kennedy. E’ il modo che Renzi usa per dire al popolo del Pd e al partito di cui è segretario, che non lavora da solo e che «noi siamo visti come una speranza per tutto il Continente».
MANO TESA
I tempi li vuol decidere lui, ma non vuole essere un uomo solo al comando perché «in un partito col 41% nessuno può pensare di fare da solo», ed è per questo che il segretario del Pd si appella ai giovani-Pd, quando parla della riforma della scuola, affinché aiutino a correggere la riforma, e ai leader del Nazareno affinché permettano una segreteria unitaria. Mano tesa a Bersani e Cuperlo, omaggio ad Errani (per isolare D’Alema)ma anche la convinzione che «il diritto di veto non c’è per nessuno». La determinazione è nota, insieme «al senso di vertigine» che ammette di provare spesso da palazzo Chigi, per le sfide che lo attendono. La spada, regalatagli dalle campionesse italiane di scherma e che ogni tanto rotea nel suo ufficio di palazzo Chigi, è uscita dal fodero anche ieri pomeriggio colpendo gufi e profeti «dell’autunno caldo» che forse ci sarà «viste le previsioni atmosferiche». Però «nessuno può fermare il cambiamento» perché «in ballo non c’è il mio destino ma quello del Paese» e delle nuove generazioni. La riforma della scuola resta l’obiettivo strategico del segretario-premier. Utile per far scaldare i cuori dei giovani del partito e delle nuove generazioni. L’appuntamento è tra un mese, dopo che le linee guida del ministro Giannini supereranno il fuoco valutativo di professori e alunni Non una parola sulla legge di stabilità o sul «grasso» che c’è ancora da raschiare nella spesa pubblica. Il pacchetto è nelle mani del ministro Padoan e degli eurocrati di Bruxelles che ieri hanno registrato le strette di mano seguite al «patto del tortellino» siglato dai cinque leader socialisti. Per Renzi gli eurocrati sono gli stessi che trovano sponde nella burocrazia italiana e nei tecnici ai quali rifila poderose legnate indicandoli come corresponsabili della situazione in cui versa il Paese.
Un braccio di ferro quotidiano, quello di Renzi e del suo staff, con inamovibili funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, che il premier intende vincere rivendicando il primato della politica. Applausi, quindi, ai senatori che hanno votato la riforma costituzionale, e sonori ”buuu” alla burocrazia ministeriale e parlamentare che la fine del bicameralismo perfetto amputerebbe. Date e scadenze delle riforme restano legate al programma dei Millegiorni, ma non cambiano. Subito, quindi la riforma del Senato che deve discutere le Camera e la legge elettorale arrivata in Senato. Come tempi rapidi per il pacchetto giustizia necessario a rendere più appetibile l’Italia agli investitori. L’elenco delle riforme è lungo e va oltre le tre cose alla volta chieste da Sergio Marchionne, ma Renzi ha bisogno di ampliare lo spettro dell’azione proprio per avanzare senza dare il senso della posizione a coloro che, con uno sciopero o una serrata, sono pronti ad indebolirlo. Niente sindacati e niente Confindustria, come niente professori alla Monti o esperti trasversali alla Bonino «che per vent’anni non hanno capito nè Berlusconi nè la crisi e ora ci criticano».
GATTOPARDI
Riforme, quindi, compresa quella del lavoro, ma senza Far West sui licenziamenti perché, spiega Renzi, dobbiamo competere con le produzioni tedesche e non con quelle vietnamite. Un possibile autunno caldo Renzi non sembra temerlo. O meglio, è convinto - forse grazie anche a percentuali di gradimento sopra il 60% - di riuscire a superarlo indenne, malgrado le fronde interne agitate da big rottamati. E’ per questo che ieri Renzi, ricordando gli impegni presi con Giorgio Napolitano sulle riforme al momento della sua rielezione, ha voluto mettere la sordina ai gattopardi che sollecitano ”ben altro” per conservare potere e privilegi.