CERNOBBIO (Como) E’ una stortura tutta italiana: i governi non riformano il mercato del lavoro e tocca alle aziende farsi carico dei dipendenti. Un fardello diventato insopportabile, ammette il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Che nel confronto diretto sul palco di Cernobbio con l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Sergio Marchionne, si trova dalla stessa parte della barricata: i lavoratori pesano troppo sulle aziende e lo Stato non fa la sua parte a sufficienza. Sulla questione dice la Guidi in questa intervista al Messaggero c’è perfetta sintonia con il manager del Lingotto: «Ho risposto all’ingegner Marchionne spiegandogli che non è una questione di mia diretta competenza, ma sono d’accordo con lui. L’ho già ribadito in molte occasioni».
Dunque è un’anomalia da correggere. In quale direzione e in che tempi secondo lei?
«Una rivisitazione, un aggiornamento del strumenti per quanto riguarda il mondo del lavoro sono giusti. Peraltro è un punto su cui il governo sta intervenendo».
Compresa, nonostante le polemiche roventi, una revisione dell’articolo 18?
«L’articolo 18, come noto, fa parte dello statuto dei lavoratori. Nel momento in cui l’esecutivo sostiene che tutto il pacchetto delle norme sul lavoro va rivisto, significa che esiste una serie di norme che andranno rivalutate nell’ambito di un contesto omogeneo».
Dunque l’eventualità c’è.
«Il mondo del lavoro oggi ha bisogno di regole nuove. Diverse, più moderne. In questa revisione tutto è possibile. Garantire le tutele non significa ingessare il sistema e non avere a disposizione strumenti utili per un sistema che è cambiato».
Quando arriveranno i primi benefici delle riforme varate dal governo Renzi? Fino ad ora i risultati non sono stati soddisfacenti
«Sono convinta che a distanza di qualche mese vedremo gli effetti di molte azioni messe in campo. Tra queste ci sono gli 80 euro distribuiti alle famiglie, che rientrano nella riduzione della pressione fiscale. Tutte le riforme hanno bisogno di tempo e sono fiduciosa che presto daranno risultati. Fin dall’inizio siamo stati accusati di correre troppo, quindi non può certo esserci imputato di stare con le mani in mano. Mille giorni sono un periodo sufficientemente lungo per raccogliere il frutto delle manovre».
La ripresa, nonostante gli ultimi dati Istat non certo incoraggianti, comincerà quindi nella seconda parte dell’anno, insomma. Lei che previsioni si senti di poter fare? Dal suo osservatorio privilegiato vede segnali interessanti?
«Qualcosa già cominciamo a intravedere. Grazie alla legge Sabatini le imprese hanno potuto sbloccare due miliardi di euro per investimenti in beni e ricerca. E ancora: prima dell’estate abbiamo approvato il pacchetto competitività, che prevede un credito di imposta per le aziende che investono in beni strumentali. Inoltre, nell’ambito dell’azione di rafforzamento delle forme di finanziamento alternative o complementari a quelle bancarie per le piccole e medie imprese, le operazioni sui mini bond sono già a quota 26, per un ammontare di quasi un miliardo di euro. Significa che le aziende che hanno sempre utilizzato il tradizionale canale bancario ora ne usano anche uno parallelo. Per quello che mi riguarda i risultati delle manovre già si vedono».
Il suo collega, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan chiede all’Europa strumenti per frenare le lobby che cercano di ostacolare le riforme.
«Quando si cerca di cambiare, è chiaro che esiste uno status quo sedimentato per anni che cerca di resistere. Per qualcuno è difficile da accettare, ma l’importante è avere una visione equilibrata e di insieme. Anche sulle riforme impostate, se arrivano dalle parti sociali richieste di modifica non mi meraviglio, perché ritengo siano fisiologiche».
Secondo il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi i Paesi dell’eurozona devono cedere una parte di sovranità all’Europa e andare avanti spediti con le riforme strutturali. Cosa ne pensa?
«Io credo sia giusto coordinare una serie di misure, in tema di infrastrutture ed energia c’è ancora tanto da fare. Perciò sicuramente un migliore coordinamento, una maggiore visione globale non può che far bene sia all’Italia che all’Europa. Noi abbiamo alcune difficoltà specifiche, tuttavia la crescita flebile e insufficiente è un problema europeo. Ciò non vuol ovviamente dire mal comune mezzo gaudio, bensì lavorare affinché ci sia un pacchetto di crescita, di azioni a livello europeo che possano far competere le imprese della ue nel mondo».