L’elezione del sottosegretario Giovanni Legnini al Csm, e dunque la sua imminente uscita dal governo, è un problema per l’Abruzzo? Certamente lo è. E non solo per la nostra regione. Nella sua carriera di parlamentare, prima da segretario d’aula del Pd, poi da sottosegretario, Legnini ha acquistato influenza e autorevolezza crescenti, seguendo in aula da relatore di maggioranza le ultime finanziarie. E ora, come ha notato ieri il Corriere della Sera, il suo passaggio al Csm «apre un buco importante nel ministero guidato da Pier Carlo Padoan». Questo per dire quanto una vicenda così improvvisa, e il profilo istituzionale imparziale e riservato che Legnini andrà ad assumere da probabile vicepresidente del Csm, potranno incidere sulla difficile situazione abruzzese. Legnini è stato ed è un punto di riferimento politico per questa regione. Negli anni ha interpretato la missione parlamentare superando gli steccati territoriali e dosando con moderazione la polemica politica. Le deleghe assegnategli da Renzi alla ricostruzione dell’Aquila, al Cipe e ai Fondi europei per la coesione, erano (e sono) strategiche per l’Abruzzo. Negli ultimi mesi ha in più occasioni manifestato la sua opposizione alla piattaforma Ombrina mare, al largo della costa teatina, diventando un riferimento per gli abruzzesi che combattono l’annunciata «deriva petrolifera» del governo. Fatalmente, dal momento in cui Legnini siederà a palazzo dei Marescialli, la sua possibilità di intervento sarà ridotta. E sarà difficile per un abruzzese sostituirlo, come chiede il Pd. La nostra classe politica è storicamente debole e poco strutturata. È sufficiente un passaggio di poltrona per metterla in crisi.