ROMA Governo e regioni ai ferri corti sui tagli alla sanità. Per tutta la giornata di ieri i governatori hanno alzato un muro contro l'ipotesi di una riduzione della spesa di 3 miliardi di euro. Ad aprire il fuoco, in mattinata, Sergio Chiamparino. «Con il governo - ha ricordato il presidente della conferenza delle regioni - abbiamo siglato in agosto un patto d'onore: se si rompe viene meno il rapporto di fiducia e collaborazione». Un avvertimento al quale l'ex sindaco di Torino ha fatto seguire un ragionamento più articolato. «Con il governo - ha ricordato Chiamparino - abbiamo firmato un Patto per la salute che ci ha impegnato, entro il 31 dicembre, a scrivere piani di riordino dei servizi sanitari e ha previsto un fondo da 109 miliardi di euro, con un aumento di circa 2 miliardi e mezzo in più l'anno in più per il 2015 e il 2016 per finanziare il servizio sanitario nazionale». In poche parole i sacrifici previsti nella spending review, a giudizio dei governatori, violerebbero gli accordi stipulati appena un mese fa. Di fronte alla protesta («quello del governo è un atto di guerra») ha attaccato il presidente della Lombardia Roberto Maroni)seguito a ruota dal presidente del Lazio Luca Zingaretti («i tagli? Sciagura inenarrabile»), Palazzo Chigi ha tentato di ridimensionare il caso. «Nessuno vuole tagliare la sanità - hanno rassicurato fonti vicine a Matteo Renzi - ma nessuno vuole gli sprechi».
QUESTIONE APERTA
Una precisazione accolta «con soddisfazione» da Chiamparino. Ma evidentemente insufficiente a chiudere la questione perchè il governatore del Piemonte ha avvertito che «un conto è che si dice che bisogna risparmiare nella sanità attraverso la riorganizzazione e modernizzazione, un altro è ridurre il fondo. In quel caso ci opporremo». Il governatore del Veneto Luca Zaia, dopo aver promesso battaglia, ha fatto sapere: «Prendiamo atto della puntualizzazione del governo e del fatto che si andrà dunque a tagliare la spesa dove le forniture costano dal 100 al 600 per cento in più che nel Veneto. Il metodo per farlo è comunque estremamente semplice: applicare i costi standard prendendo le Regioni virtuose come base del calcolo. Attendiamo fatti e non tweet, comunque vigileremo, fidandoci notoriamente poco degli annunci di questo governo». Il rispetto dei patti è stato invocato anche dal presidente della Campania Stefano Caldoro che ha comunque ricordato che i governatori «sono pronti ad affrontare tutti i discorsi e gli impegni che sono stati presi sull'efficienza».«Se si devono trovare risorse - ha incalzato il presidente della Toscana Enrico Rossi - è bene cercarle nelle pensioni sopra tremila euro, una cifra alta e più che sufficiente per vivere, soprattutto in un Paese dove la sanità è pubblica». Sul fronte sindacale, levata di scudi dalla Cgil. «Aggiungere ai 30 miliardi di tagli già effettuati negli scorsi anni sulla sanità un ulteriore 3% è assolutamente insostenibile. Una scelta di questo tipo equivarrebbe alla decisione di non assicurare più i livelli essenziali di assistenza» hanno protestato Vera Lamonica, segretario confederale e Stefano Cecconi, responsabile della Salute. «Gli sprechi - hanno proseguito da Corso Italia - ci sono e vanno combattuti con decisione. E le risorse recuperate vanno restituite ai cittadini, con più servizi e meno ticket». L’ipotesi tagli, intanto, ha prodotto diffuso malumore nel Pd. «Noi - ha avvertito l’ex segretario Pier Luigi Bersani seguito da molto esponenti del partito - non possiamo tradire il welfare e l'universalismo della sanità. Possiamo rendere più efficiente il sistema, ma certo non tagliare i servizi».
Renzi deciso: non mi fermo avanti con i costi standard «La protesta non mi impressiona, c’è ancora tanto da risparmiare senza colpire i cittadini». Per i governatori altri 1,5 miliardi di risparmi. Lorenzin lavora ad una sua controproposta
ROMA «Non mi lascio certo di impressionare dalla rivolta delle Regioni. Di sprechi nel settore della Sanità ce ne sono, eccome. E allora o tagliano loro, oppure ci penso io». Matteo Renzi tira dritto. Il premier non ha alcuna intenzione di colpire prestazioni, posti letto e prontosoccorsi. Non vuole smontare, insomma, il Patto della salute siglato appena qualche mese fa. Ma è determinato a spingere le Regioni ad applicare i famosi costi standard per l’acquisto di apparecchiature e strumentazioni mediche, siringhe, garze, servizi di ristorazione, vigilanza, pulizie e quant’altro. «Perché di grasso che cola, di sprechi, ce ne sono ancora tanti. Molti risparmi ancora si possono ottenere per rastrellare 20 miliardi di tagli e poi abbassare il costo del lavoro».
Raccontano che l’altro ieri, in Consiglio dei ministri, il premier «è stato duro, quasi brutale». Di fronte a sé a poggiato il librone con i conti dello Stato che gli ha regalato il ragionieri generale Daniele Franco, a dimostrare che lui i conti li conosce bene. Dunque, «non mi faccio prendere per il naso, so dove si annidano gli sprechi». E ha scandito un aut aut netto, dove non c’era alcuno spazio per la diplomazia: «Vi do tempo fino a domenica per presentare le vostre proposte di tagli. Se saranno congrue con l’obiettivo di raggiungere i 20 miliardi, bene. Altrimenti procedo io. E ho in mano le proposte di Cottarelli...». Quelle lacrime e sangue. Quelle che non risparmiano neppure le pensioni e tantomeno la Sanità. Più edulcorata la versione che filtra da palazzo Chigi: «Nessun diktat per ottenere risparmi pari al 3%. Il premier ha chiesto ai ministri di indicare dove affondare il bisturi, di stabilire le priorità. I famigerati tagli lineari sono esclusi».
LAVORO & SALUTE
Tanto per gradire, in vista del redde rationem, ieri Renzi ha incontrato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il consigliere economico Filippo Taddei. Per parlare di tagli, appunto, visto che quel dicastero ha un forte budget di spesa. E per cercare di capire se è possibile accelerare la riforma del jobs act, un intervento sollecitato anche da Bruxelles e dalla Bce. Alla fine si è deciso di provare a ottenere il via libera entro novembre, un mese e mezzo prima del previsto e in tempo utile per presentarsi al Consiglio europeo di dicembre con una credenziale in più. «Ai tagli ci pensa Poletti». E saranno altri dolori.
Il nodo più importante e difficile resta però quello della Sanità. Il piano al quale si sta lavorando per non toccare il Patto della Salute e ottenere subito risparmi, prevede di incrementare di un miliardo e mezzo gli obiettivi di riduzione di spesa delle Regioni sull’acquisto di beni e servizi già previsti dal decreto di aprile che ha introdotto il bonus da 80 euro. Il provvedimento assegna ai governatori l’obiettivo di risparmiare sugli acquisti 700 milioni. La somma, adesso, sarebbe portata a 2,2 miliardi. Nel caso in cui le Regioni non riuscissero ad effettuare i tagli (che dovrebbero avvenire soprattutto sugli acquisti di servizi sanitari), scatterebbe una riduzione lineare dei trasferimenti dal bilancio pubblico. Altri tagli potrebbero riguardare il Fondo per la ricerca, pure gestito dal ministero della Salute. Ma le simulazioni, per ora, rimangono lontane dai 3 miliardi chiesti da Renzi.