ROMA L’ultimo avviso è arrivato solo un paio di giorni fa da Mario Draghi. L’Italia, come gli altri Paesi dell’Unione europea, deve fare i compiti a casa, quelli dettati nella primavera scorsa da Bruxelles nelle raccomandazioni sul programma di stabilità. Un elenco di prescrizioni che va dalla riforma del lavoro, alla riduzione del carico fiscale sul lavoro, fino all’accelerazione dei tempi della giustizia. Insomma, proprio quelle riforme strutturali che Roma da tempo promette e la cui attuazione potrebbe essere il lasciapassare per la flessibilità di bilancio necessaria a rilanciare crescita e investimenti.
Eppure tra i compiti a casa dettati dall’Europa c’è almeno un punto del quale poco si è discusso, anche per la sua delicatezza. «I recenti interventi volti ad alleggerire la pressione fiscale sui fattori di produzione», aveva messo nero su bianco la Commissione, «sono stati piuttosto limitati. Vi è il margine», spiega il documento, «per spostare ulteriormente il carico fiscale verso i consumi». Su questo punto le raccomandazioni erano andate anche oltre. «È determinante», secondo Bruxelles, «anche una revisione delle aliquote ridotte dell’Iva e delle agevolazioni fiscali dirette».
In altre parole l’Ue ha chiesto all’Italia di rimettere di nuovo mano all’Iva dopo il doppio aumento dal 20 al 22 per cento deciso dai governi Monti e Letta. Il tema, come detto, è delicato, perché l’aliquota minima, quella al 4 per cento, riguarda beni essenziali come il pane o la pasta. Il tema, tuttavia, come spiega un’autorevole fonte del ministero dell’Economia a Il Messaggero, «aleggia nell’aria».
LE SIMULAZIONI
Di studi e simulazioni ce ne sono molti. Anche perché da tempo a via XX settembre il vice ministro Luigi Casero e l’ex responsabile del dipartimento fiscale della Banca d’Italia, nonché già sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani, stanno lavorando al dossier delle cosiddette «tax expenditures», una revisione di tutte le agevolazioni fiscali che erodono la base imponibile riducendo il gettito dello Stato. Il rapporto Ceriani ne ha contate per 256 miliardi di euro. Molte di queste riguardano pensioni e redditi da lavoro e pertanto vengono considerate «blindate». Sulle altre si sta cercando di lavorare di bisturi per eliminare quelle giudicate non più attuali o che hanno impatti limitati. Ma una riflessione sarebbe aperta anche sull’Iva. L’aliquota al 4%, per esempio, è un’eccezione che l’Europa ha concesso all’Italia in quanto l’aliquota più bassa stabilita dalle regole europee è al 5%. Ma anche in quella al 10 per cento ci sono ricompresi settori, come quello della ristorazione, che erodono miliardi di euro di gettito.
I REGIMI DI FAVORE
Le ipotesi sul tavolo sono diverse. Quella, per esempio, di continuare nella revisione di singole voci dell’imposta, come è già stato fatto per i distributori automatici di alimenti la cui Iva è salita dal 4 al 10%. Nel mirino ci sarebbero i regimi agevolati sui prodotti agricoli o l’esenzione per le pompe funebri. Ma non si esclude nemmeno un ritocco delle aliquote più basse o la creazione di una nuova aliquota al 7-8%. Ogni punto di Iva, del resto, vale 4 miliardi di gettito.
IL QUADRO ECONOMICO
«In questo momento con la deflazione», spiega sempre la fonte del Tesoro, «un ritocco dell’Iva potrebbe far bene anche per far ripartire i prezzi e il gettito potrebbe essere usato per abbassare le tasse sul lavoro».
Il particolare quadro economico di questi mesi, oltre alla posizione dell’Unione europea, è l’altro fattore che renderebbe praticabile se non addirittura consigliabile un intervento sulle aliquote ridotte. La compresenza di una crescita reale del Pil modestissima o nulla e di un incremento dei prezzi vicino allo zero (se non in territorio negativo) fa sì che anche il tasso di aumento del prodotto nominale sia pressoché inesistente. Con conseguenze negative per i debitori a partire dallo Stato: il debito infatti viene misurato proprio in rapporto al Pil nominale. Dunque una piccola spinta ai prezzi attraverso l’Iva non solo non fa paura, ma può essere addirittura desiderabile.