Accordo su una delega ampia: toccherà
ai decreti di attuazione definire i dettagli
ROMA Arriveranno le tutele crescenti, ma se questo significherà nel caso di licenziamento l’addio all’istituto del reintegro oppure la sua sospensione per un certo numero di anni, lo scopriremo solo nel momento dell’emanazione dei decreti attuativi. La delega che il Parlamento si appresta a dare al governo non lo specificherà. Dopo tanti dibattiti e discussioni anche accese, nell’incapacità di trovare un accordo reale sulla spinosa questione dell’articolo 18, alla fine vince la soluzione pilatesca che di fatto lascia la possibilità alla delega di continuare il suo iter e di arrivare al via libera definitivo entro i tempi sperati, in attesa di un chiarimento tutto interno al Pd. Salvo sorprese, sarà questo l’esito della riunione di stamattina tra i capigruppo dei partiti di maggioranza in commissione Lavoro al Senato e il ministro del Welfare, Giuliano Poletti. Un sorta di escamotage già concordato nell’incontro di ieri tra lo stesso ministro e gli esponenti del Pd (capigruppo delle commissioni di Camera e Senato) che ha preceduto l’informativa del premier in Parlamento. L’idea di Renzi, infatti, è di superare l’articolo 18 con l’addio all’istituto del reintegro, estendendo una serie di garanzie (ammortizzatori sociali e politiche di ricollocazione), anche ai lavoratori che ora ne sono esclusi solo perché dipendenti di aziende sotto la soglia dei 15 dipendenti.
L’articolo 18 non verrà quindi citato nell’emendamento che il governo presenterà probabilmente già oggi. Si parlerà invece di semplificare, attraverso un testo organico, le tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, delegando in questo ambito il governo a riformare le norme sulle tutele, le mansioni e i controlli a distanza. Nemmeno lo Statuto dei lavoratori sarà direttamente richiamato nell’emendamento, ma in pratica il nuovo testo lo riscriverà (tranne la parte sindacale). L’introduzione del contratto a tutele crescenti sarà certa e non più «eventuale in via sperimentale», e non costituirà un’«ulteriore» tipologia di contratto, ma andrà a sostituire il contratto a tempo indeterminato. Ok anche al salario minimo, ma l’emendamento dovrebbe prevedere esplicitamente che le misure si applichino «solo ai lavoratori che non fanno riferimento a un contratto collettivo di lavoro».
A questo punto l’iter del Jobs act dovrebbe essere tutto in discesa. Alla commissione Lavoro presieduta dall’ex ministro Maurizio Sacconi (Ncd) resta infatti da votare solo l’articolo 4 della delega, quella appunto sul riordino delle forme contrattuali.
IL PALLINO A RENZI E POLETTI
La settimana prossima quindi il provvedimento può passare all’esame dell’aula di palazzo Madama e poi iniziare l’iter alla Camera. Dopo di che toccherà al ministro Poletti lavorare sui decreti attuativi e decidere come sciogliere il rebus tra reintegro (solo congelato per un periodo determinato di tempo per i nuovi assunti oppure abolito a vita, salvo i casi di discriminazione?) e indennità nel caso di licenziamento individuale. Nel Pd non tutti sono convinti che l’articolo 18 sia solo «un feticcio». L’appello di Renzi a estendere le tutele a tutti per superare la divisione tra lavoratori di serie A ipergarantiti e lavoratori di serie B, potrebbe portare un’altra novità: l’abolizione della soglia dei 15 dipendenti non solo per quanto riguarda l’accesso agli ammortizzatori sociali e alle politiche attive di ricollocazione, ma anche per l’applicazione delle tutele crescenti in caso di licenziamento. Quindi anche per questi lavoratori potrebbe scattare il pagamento dell’indennizzo (magari in forma ridotta, come si prevede nella proposta del senatore Ichino). In ogni caso sia l’ammontare del risarcimento che la sua gradualità saranno decisi nei decreti attuativi.